Laura Castelli non è nuova alle gaffe, ma quella di qualche giorno addietro sui ristoranti potremmo definirla difficilmente tale. Il vice-ministro dell’Economia, nel corso di un’intervista, ha affermato che “questa crisi ha spostato la domanda e l’offerta. Se una persona decide di non andare più al ristorante bisogna aiutare l’imprenditore a fare un’altra attività, a non perdere l’occupazione, va sostenuto anche nella sua creatività, magari ha visto un nuovo business nato in questo periodo“. Abbiamo voluto riportare l’intera espressione per evitare di strizzare l’occhio all’una o all’altra parte, tenendoci fedeli alla dichiarazione.
Ristoratori d’Italia, muovetevi! Il futuro dopo il Coronavirus è adesso con i “dining” bond
E’ vero, la Castelli non ha detto ai ristoratori di cambiare mestiere, ma nella sostanza ha fatto di peggio. Mentre decine di migliaia di bar e ristoranti hanno riaperto a giugno l’attività tra tante difficoltà, tra cui il rispetto delle regole di distanziamento sociale e il crollo della clientela, specie nelle aree in cui questa risulta composta perlopiù da turisti stranieri e/o lavoratori nelle ore di pausa pranzo, anziché incoraggiare a tenere duro, trattandosi di un comparto che fa da pilastro per il nostro pil collassato sotto i colpi della pandemia, il governo non ha trovato di meglio che prospettare loro un non futuro.
L’intento del vice-ministro era quello di far capire che il governo non può certo costringere gli italiani ad andare al bar o al ristorante, per cui se domanda e offerta dovessero smettere d’incontrarsi nel medio-lungo periodo e anche in conseguenza di trasformazioni strutturali, come nel caso del telelavoro, molti ristoratori si troverebbero costretti a chiudere e a cambiare mestiere e, a quel punto, lo stato dovrebbe sostenerli. E ci voleva il numero due dell’Economia al governo per farcelo capire! E’ vero, lo stato non può per decreto creare clienti per questa o quella attività, semmai può astenersi dal porre in essere misure che provochino contraccolpi alla domanda.
Le responsabilità del governo nella crisi
E dobbiamo ammettere che il governo può essere tacciato di avere gestito con i piedi la risposta alla crisi economica. Abbiamo un Decreto “Rilancio”, che nei fatti è finito per allontanare la ripresa. Servirà oltre un centinaio di decreti attuativi per trasformarlo in realtà, nel frattempo vari comparti dell’economia si stanno fermando in attesa delle novità. L’esempio più paradossale è il Superbonus del 110% per i lavori di efficientamento energetico e anti-sismici per case e condomini. Sarebbe una misura di stimolo all’edilizia senza precedenti in Italia, ma essendo stata annunciata a maggio e, verosimilmente, venendo attuato a partire da settembre, sta riducendo al lumicino il numero dei lavori presso le abitazioni, perché i proprietari sono tutti intenti a capire cosa, come e quando potrà rientrare nei benefici promessi.
Superbonus 110% trasformato da incentivo a boomerang per il rilancio economico
Gestire con i piedi la crisi significa mettere in ginocchio tante attività commerciali, artigianali e industriali per il venir meno della domanda. Se aggiungiamo il fatto che la chiusura di molte di queste attività per oltre tre mesi sia stata imposta dallo stato, pur per giusta causa, e che la riapertura abbia coinciso con un aggravio dei costi, a fronte di un fatturato calante, sempre per via delle misure imposte dallo stato in funzione anti-Covid, dire ai ristoratori che dovrebbero cambiare mestiere se le cose andassero per il verso sbagliato appare non solo sgradevole, quanto un indizio di pessimismo propinato dallo stesso governo, il quale dovrebbe, al contrario, cercare di sostenere gli animi e le tasche di famiglie e imprese.
Certi cambiamenti strutturali sono stati probabilmente accelerati dall’emergenza Coronavirus e il tempo dirà chi e quando dovrà abbandonare la propria attività per adeguarsi alla mutata realtà.