Il dollaro si è di molto indebolito contro l’euro negli ultimi mesi, perdendo all’incirca il 10% da metà maggio, quando iniziò a delinearsi l’accordo tra i governi europei per il lancio del “Recovery Fund”. Discorso ancora da definire, ma ai mercati tanto è bastato per allontanare lo spettro di un ritorno alla frammentazione finanziaria post-2008, quando l’Eurozona rischiò il collasso. Da quel momento, i titoli di stato italiani hanno rotto gli indugi e hanno iniziato a guadagnare, con i rendimenti a puntare verso il basso.
Dovremmo attenderci un loro deprezzamento, scontando una valuta di denominazione più debole. Andiamo ad analizzare tre emissioni: la scadenza ottobre 2024 e cedola 2,375% (ISIN: US465410BX58); il bond ottobre 2029 e cedola 2,875% (ISIN: US465410BY32) e, infine, l’ottobre 2049 e cedola 4% (ISIN: US465410BZ07).
Il primo titolo ha guadagnato da metà maggio poco meno del 5%, salendo a una quotazione di 103 e offrendo un rendimento dell’1,72%. Per quanto basso possa apparire, tenendo anche conto che il dollaro da qui alla data del rimborso potrebbe indebolirsi ulteriormente, esso si confronta con l’appena 0,20% offerto dal Treasury di pari durata.
Il titolo che scade nel 2029, invece, ha messo a segno un rialzo di quasi l’8%, salendo sopra 102 e rendendo il 2,61%, che si confronta con circa lo 0,50% del Treasury. Infine, il trentennale si è impennato del 16% a sopra 106, pari a un rendimento lordo annuo del 3,67%, circa il 2,50% in più rispetto al bond emesso dal Tesoro americano.
Questi numeri ci dicono che rispetto ai titoli di stato italiani denominati in euro, gli spread si attestano a circa 145 per il primo e 175 punti base per il secondo e terzo bond. Tanti ne basterebbero per incorporare il rischio di cambio, a parità di quello creditizio.
Prospettive future
E allora, come mai i BTp in dollari sono lievitati di prezzo man mano che il cambio americano si indeboliva? A prevalere con ogni probabilità è stata la tentazione del mercato di mantenere assets in dollari in portafoglio, ma a rendimenti più elevati, così da scontare il rischio valutario, divenuto ormai reale e non solo prospettico. I bond italiani si prestano molto bene ad essere oggetto di acquisto per tale scopo, offrendo rendimenti nettamente superiori a quelli del resto d’Europa, nonché a quelli americani, il cui confronto si mostra più diretto per via della valuta comune di emissione.
E non è detto nemmeno che il trend positivo sia cessato. Se il mercato avesse ragione, starebbe scontando attualmente un rafforzamento ulteriore del cambio euro-dollaro del 10% da qui ai prossimi 10 anni (1% all’anno), come segnala lo spread Treasury-Bund decennale. Esisterebbe un margine di circa tre quarti di punto percentuale, quindi, ancora a cui attingere per acquistare un asset in dollari – il BTp 2049 – più che coprendo il rischio atteso di cambio. Sul tratto a 4 anni, invece, il margine si ridurrebbe a circa mezzo punto percentuale all’anno. Questo sarebbe il rendimento extra in dollari rispetto a quello in euro, una volta sottratto il possibile ulteriore indebolimento del cross.
Ad ogni modo, per il tratto lungo della curva, i BTp in dollari avrebbero più che compensato le perdite derivanti dal cambio, per cui l’investimento negli ultimi mesi continuerebbe ad esitare il segno più. Sul tratto medio-lungo, i guadagni delle quotazioni sarebbero risultati insufficienti, compensando le perdite parzialmente.
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