Le nuove generazioni lo dicono da tempo, con un po’ di amara ironia ma anche di preoccupazione: “tanto chi la vedrà la pensione”? Dietro a questa domanda si cela una questione seria: fino a quando l’Inps potrà pagare le pensioni? Fino a quando il sistema starà in piedi e le casse previdenziali riusciranno a pagare gli assegni evitando il collasso? Le previsioni non sono delle più ottimistiche anche se, accanto a questo timore, c’è anche un po’ di superficialità visto che sono ancora pochi i giovani che pensano concretamente alla pensione integrativa.
Chi ha iniziato a lavorare negli ultimi anni o addirittura mesi potrà contare su una pensione futura?
Avrò diritto alla pensione quando smetterò di lavorare?
Partiamo dai numeri. La pandemia Covid ha sicuramente pesato sulle casse Inps, costretto ad esborsi tra bonus e aiuti. Quando pagheremo per queste misure? Dall’inizio della crisi il debito è aumentato di 100 miliardi: il rapporto deficit/PIL ha superato il 10%. Peraltro va considerato anche che il nostro debito pubblico ha come acquirente esclusivo la BCE, per il tramite di Banca d’Italia. Questo può determinare un rialzo dello spread.
Lo scenario appare inevitabilmente precario. In tutto questo l’Italia dovrà intervenire con una riforma pensioni non appena terminerà la sperimentazione quota 100.
Perché abbiamo fatto questa panoramica? Non per creare allarmismo o scoraggiare le generazioni che si affacciano ora al mondo del lavoro ma per considerare la convenienza di pensare per tempo a forme di previdenza complementare.
Il Nostradamus delle pensioni ha previsto il collasso dei pagamenti tra dieci anni
Alcuni studi del 2016 hanno individuato una data chiave: il 2030. Non è casuale: in quell’anno andranno in pensione i nati nel 1964-65, i figli del miracolo economico che ha portato ad un boom di nascite.
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