A novembre, l’inflazione nell’Eurozona è risultata negativa per il quarto mese consecutivo, segnando -0,3% su base annua. Il crollo dei consumi in tutta l’area ha impattato sui prezzi, comprimendoli. Fino a quando le cose rimarranno così, nessun dubbio che pure un ambiente obbligazionario caratterizzato da bassi rendimenti continuerà ad attirare capitali. Il problema si porrà quando e se lo scenario dovesse mutare. Un processo di reflazione stravolgerebbe i piani degli obbligazionisti. Metti che hai inserito in portafoglio un BTp a 10 anni con rendimento dello 0,60%.
La reflazione è il principale timore sui mercati di questa fase. Ci sarebbero almeno due tendenze di fondo a sostenerla. Quella ciclica sarebbe alimentata dalla ripresa dell’economia, che si prevede non così veloce come si pensava fino a pochi mesi fa, ma in ogni caso sosterrebbe i prezzi al consumo. Solo in Italia, nell’ultimo anno al 31 ottobre scorso abbiamo aumentato i risparmi depositati in banca di quasi 150 miliardi e, al netto degli eventuali disinvestimenti, ciò dimostra che la pandemia ha costretto le famiglie ad accantonare risorse per paura e per costrizione, ma queste di per sé accrescerebbero i consumi e i prezzi futuri di beni e servizi.
Su quali bond investire nel caso inatteso di reflazione?
E c’è il capitolo ben più complesso e ancora meno prevedibile della globalizzazione. L’emergenza Covid-19 ha certamente posto un freno agli interscambi commerciali e fatto emergere alcune criticità dei processi di delocalizzazione. Ad oggi, nessuno è in grado di prevedere se ad emergenza finita il vento della globalizzazione tornerà a soffiare come prima o se vi sarà un tendenziale “re-shoring”, ovvero un rimpatrio delle attività produttive in prossimità dei mercati di sbocco.
I BTp€i ancora a buon mercato?
Cosa dovremmo fare per proteggerci dallo scenario inflazionistico? Sarebbe buona cosa possedere in portafoglio assets “inflation-linked”. Oltre alle azioni, che tipicamente tendono a salire con l’inflazione, vi sono i bond agganciati alle variazioni dei prezzi, come per esempio i BTp€i. Questi proteggono il potere di acquisto del capitale dall’inflazione dell’Eurozona. Vero, essa non coincide perfettamente con la dinamica dei prezzi italiani, ma neppure vi si discosta così tanto. Prendiamo il BTp€i maggio 2026 e cedola reale 0,65% (ISIN: IT0005415416). Ai prezzi attuali, rende il -0,43% e si confronta con lo 0,08% offerto dal BTp con cedola fissa di pari durata. Lo spread di poco superiore allo 0,50% tra i due bond ci segnalerebbe le aspettative d’inflazione da qui ai prossimi 5 anni e mezzo per l’Eurozona.
Allungando considerevolmente l’orizzonte temporale, spostiamoci sul BTp€i settembre 2041 e cedola reale 2,55% (ISIN: IT0004545890). Quota in area 149 e rende solo lo 0,13%, a fronte dell’1,21% del BTp di pari durata e con cedola fissa. In questo caso, il mercato si aspetterebbe un’inflazione media annua di poco superiore all’1% da qui ai prossimi più che 20 anni, sostanzialmente simile ai livelli pre-Covid.
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Riassumendo, i BTp€i non starebbero scontando alcuna inflazione significativa in vista neppure per il lungo periodo, il che non depone a favore delle capacità previsionali del mercato. Se è verosimile che l’inflazione resti bassa o finanche negativa ancora per mesi, appare poco probabile che non rimbalzi praticamente più e non si avvicini lontanamente all’attuale target BCE “vicino, ma di poco inferiore al 2%”.