Il “giorno zero” è stato a Capodanno a Cuba. Lo si attendeva da almeno 7 anni e serpeggiavano molti timori sul suo arrivo. E stavolta, il regime de L’Avana ha mantenuto la promessa: via alla riforma monetaria. Scompare il CUC o peso convertibile e rimane in circolazione solo il CUP o peso cubano. Ci sarà tempo fino a giugno per scambiare CUC in CUP a un tasso di 1 contro 24. La riforma monetaria rappresenta un passo importantissimo per migliorare l’efficienza dell’economia dell’isola, ancora largamente pianificata.
Lunghe file si stanno registrando sia dinnanzi alle filiali della banca centrale per scambiare i CUC in CUP, sia agli ATM. “Quando facevi bancomat, prima ti erogavano banconote da 5, 10 o 20 pesos, adesso da 100 o 200 pesos”, racconta un cittadino alla stampa straniera. E’ il primo segnale di quanto stia accadendo: i prezzi stanno schizzando in alto. In effetti, è lo stesso governo ad averlo previsto, se è vero che abbia quintuplicato stipendi pubblici, sussidi e pensioni. Esso si attende che i prezzi di beni e servizi prodotti dalle società statali aumentino di 1,6 volte, mentre quelli prodotti dal settore privato triplicherebbero.
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I contraccolpi sulla popolazione
Il motivo è semplice. Fino al 31 dicembre scorso, 1 CUC veniva scambiato contro 1 CUP per le aziende dello stato. Dall’1 gennaio, nei fatti il CUP è stato svalutato di circa il 96%. Importare prodotti dall’estero per le aziende statali diventerà molto più costoso, perché dovranno accedere a un tasso di cambio di 24 volte più debole. E tutto questo sta avvenendo nel bel mezzo di una pandemia, che qui ha prosciugato le entrate del turismo, facendo collassare il PIL dell’11% nel 2020.
Oltre a ciò, bisogna considerare che L’Avana stia tagliando gli stessi sussidi.
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I benefici della riforma monetaria
Ma le implicazioni di medio-lungo termine di questa riforma monetaria saranno positive, pur transitoriamente dolorose. Per prima cosa, viene meno l’incentivo a comprare dall’estero. Un cambio molto più debole spingerà le aziende statali a decidere di produrre di più in loco, anziché importare beni e servizi. I consumi si sposteranno, poi, dai beni sinora sussidiati al resto del paniere, seguendo logiche di mercato e non più calate dall’alto. E l’occupazione dovrebbe beneficiarne. Secondo le statistiche ufficiali, il 65% dei cubani in età lavorativa è occupata, ma questa percentuale è crollata di una decina di punti negli ultimi anni. E molti posti di lavoro sono “fittizi”, cioè creati dallo stato semplicemente per dare un salario.
Il problema è che la sola riforma monetaria non risolve i problemi dell’economia comunista. Se le aziende cubane vorranno importare di meno e produrre di più sull’isola, serve che il governo renda ciò possibile, allentando le restrizioni a carico dell’iniziativa privata. Se così non fosse, anche volendo i cubani non troverebbero dove andare a lavorare. E’ il settore privato che crea occupazione vera, ma ad oggi resta limitato e circoscritto ad alcuni settori, come il turismo.
Infine, la riforma monetaria non ha esaurito la svalutazione del cambio. Al mercato nero, un dollaro viene comprato per 30 CUP, ma negli ultimi giorni si sono visti prezzi ancora più alti. Questo significa che il peso resta forte e continuerà a distorcere le relazioni commerciali a sfavore delle produzioni locali. Una ulteriore svalutazione a breve, tuttavia, non sembra probabile, dati gli effetti ancora più duri che avrebbe sulla popolazione. Eppure, la banca centrale ha avvertito che il cambio del CUP contro il CUC verrà quotidianamente pubblicato, come a mettere in guardia su possibili variazioni. Siamo solo agli inizi di un lungo percorso di transizione verso un’economia più di mercato.