Gli Emirati Arabi Uniti sono diventati nell’ultimo ventennio l’immagine dell’opulenza in quel lembo di terra, che fino a pochi decenni fa era deserto e abitato da nomadi in stato di profonda arretratezza. Dal 1990, il suo PIL si è moltiplicato per 8 e dal 2000 per 4. Su una popolazione di 10 milioni di abitanti, poco meno di 9 milioni sono stranieri. Gli autoctoni incidono per appena un decimo del totale, una condizione simile, pur numericamente molto più estrema, a quella degli alleati del Golfo Persico.
Ai cittadini dell’emirato vengono riservati “privilegi” come istruzione, sanità e carburante a basso costo, ma anche l’esenzione fiscale su un livello di reddito elevato e incentivi all’atto dell’acquisto di terreni e case, nonché sul piano pensionistico a partire dai 49 anni.
E lunedì, Dubai ha annunciato che d’ora in avanti la cittadinanza potrà essere rilasciata anche agli stranieri. Non a tutti, però. Serve essere medico, professionista, scienziato, intellettuale, artista o, comunque, un talento. E cosa molto importante: non potrà essere richiesta, bensì solamente concessa da funzionari e membri della Casa Reale, dopo essere stata approvata dal governo.
La mossa è storica per l’area e mira ad attirare stranieri di spessore sul piano delle conoscenze e delle capacità dimostrate in campo economico. Il passo intende sganciare l’emirato dalla dipendenza verso il petrolio, un problema che si stanno ritrovando ad affrontare un po’ tutti gli stati del golfo, Arabia Saudita compresa. Finora, i permessi di soggiorno possono essere rinnovati ogni tre anni, un fatto che crea senso di precarietà tra gli immigrati, visto che nessuno è in grado di sapere cosa ne sarà alla scadenza. Esiste anche un permesso di 10 anni, che può essere ottenuto dai professionisti e persone in possesso di elevati titoli di studio.
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La rivoluzione di Dubai e gli effetti sull’economia
Con la pandemia, già erano state approvate da Dubai alcune misure rivoluzionarie: riconoscimento delle convivenze, il permesso di comprare alcoolici senza licenza, possibilità di detenere il 100% di un’attività contro la precedente norma, in base alla quale il 51% doveva essere in possesso di un cittadino locale. In più, era stato consentito il rilascio di visti per 1 anno a favore degli “smart workers”, lavoratori alle dipendenze di società straniere, purché in possesso di un certo livello salariale.
Qual è il vero intento della liberalizzazione della cittadinanza? Creare i presupposti per spingere gli immigrati stranieri ad investire negli Emirati Arabi Uniti a lungo termine. Sapendo che dopo alcuni anni potrebbero non ottenere più il rinnovo del visto, moltissime famiglie evitano di acquistare casa o di investire in un’attività economica con piani di sviluppo pluriennali. Adesso, Dubai lancia un messaggio molto chiaro a chi vi risiede: “se fate bene, potrete vivere qui per sempre”. E fare bene significa evidentemente investire, dare il meglio di sé sul piano dell’intraprendenza e delle conoscenze.
I risultati di questa misura non si vedranno probabilmente subito, semmai man mano che le prime cittadinanze verranno concesse, creando ottimismo tra gli immigrati più facoltosi circa le proprie chance di riceverla in futuro. Gli investimenti immobiliari, nelle attività commerciali e industriali verosimilmente cresceranno, consentendo al paese di prosperare anche indipendentemente dal futuro del petrolio. Per contro, se il numero dei cittadini iniziasse ad espandersi in misura visibile, sarebbe più difficile per l’emirato garantire gli stessi benefici. Ma forse l’obiettivo che Dubai si starebbe ponendo è proprio questo: tagliare alcune forme di sussidi elargiti ai cittadini, al contempo ponendo le basi per una crescita più diversificata e tale da consentire a tutti di mantenere gli attuali standard di vita.
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