Vi ricordate come era iniziata la legislatura? Dopo le elezioni politiche del 4 marzo 2018, Movimento 5 Stelle e Lega raggiungevano insieme la maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le Camere. A metà maggio, iniziarono le trattative tra i due partiti euro-scettici per formare il nuovo governo. I mercati finanziari entrarono in fibrillazione, lo spread BTp-Bund esplodeva e il peggio sarebbe arrivato solamente con il varo della legge di Stabilità 2019, che prevedeva un deficit al 2,4% del PIL, in linea con l’anno in corso, ma sopra i livelli pretesi da Bruxelles.
Ma l’alleanza tra 5 Stelle e Lega dura poco. Nell’agosto 2019, dall’autorevole location del Papeete Beach di Milano Marittima, l’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, annuncia la fine dell’esecutivo. Contrariamente alle sue attese, però, non si va ad elezioni anticipate, bensì si forma un nuovo governo tra “grillini” e PD, nemici giurati che si affrettano ad accordarsi per allungare la legislatura ed evitare il bagno di sangue elettorale. Il partito guidato da Luigi Di Maio cambia radicalmente impostazione: dall’ostilità all’euro, passa a sostenere la Commissione di Ursula von der Leyen a Bruxelles, mentre a Roma abbandona i toni euro-scettici e abbraccia senza indugi l’europeismo per far reggere l’intesa con il PD.
Gradualmente, l’impostazione programmatica “no euro” muta anche nella Lega, pur restando i toni di Salvini contro i commissari e la cancelliera Angela Merkel tendenzialmente ostili.
Unica opposizione sarà quella di Giorgia Meloni, anch’ella dalle posizioni assai più morbide sull’Europa, tanto che Fratelli d’Italia è entrata a fare parte del gruppo ECR, quello dei Conservatori e Riformisti, in parte sostenitore della Commissione.
Fallimento di un popolo, non solo della politica
Dunque, la legislatura iniziata all’insegna del “no all’Europa” sta avviandosi a conclusione guidata dalla massima espressione dell’europeismo in Italia. Effetto delle acrobazie pseudo-intellettuali di una classe politica senza testa e né coda, che da troppi anni punta semplicemente a capitalizzare il consenso facendo leva sulle emozioni e non sul ragionamento. Mai legislatura era stata più pazza di quella attuale, mai altrettanto pedagogica. Coloro che per anni si sono insultati, creando un clima più da guerra civile permanente che di ordinario scontro politico, si ritrovano adesso alleati “per il bene del Paese”. Non ci sono più i pericolosi fascisti da un lato e i rappresentanti del sistema marcio dall’altro. Sovranisti ed europeisti si ritrovano a braccetto, pur continuandosi a detestare reciprocamente, ma costretti a fare buon viso a cattivo gioco.
In fondo, quest’ultimo scorcio di legislatura sembra quasi da Nazione normale, dove gli avversari non sono nemici, ma semplicemente interlocutori con idee, visioni della vita e programmi diversi. Ma di normale nell’ennesimo governo tecnico non c’è nulla. Ancora una volta, una personalità esterna alla politica viene chiamata a soccorrere una nave inabissatasi in acque piuttosto agitate. Le divisioni esistenti fino al giorno prima sul ponte di comando si sono dissolte, rivelandosi per quelle che erano sempre state: bufale da entrambi i lati. Non è mai esistita un’Europa matrigna che complotta contro l’Italia per spogliarla delle sue ricchezze, così come non è mai esistita un’Europa votata all’assistenza gratuita della nostra economia. Da 30 anni a questa parte, invece, è sempre esistita una classe politica e complessivamente dirigente incapace di fornire risposte alle richieste legittime di cambiamento dei cittadini e che scaricato su Bruxelles responsabilità e incapacità proprie, contemporaneamente ancorandosi al vincolo esterno per non fallire del tutto.
Quando questa legislatura finirà (tra meno di un anno, con l’elezione di Draghi a presidente della Repubblica?), ci ritroveremo una classe politica spogliata delle sue falsità. Non ci sarà più la facile preda dell’euro su cui mietere consensi, né d’altra parte la glorificazione dell’Europa dei commissari per accreditarsi in patria e all’estero più responsabili e credibili degli altri. Chiunque abbia governato l’Italia da inizio anni Novanta ad oggi non ha attuato riforme strutturali, sia stato o meno europeista. E meno che mai si è preoccupato di costruire una classe dirigente all’altezza di tenere testa alle cancellerie straniere, coltivando intelligenze e progetti lungimiranti per tutelare l’interesse nazionale fuori dai confini. Tutti hanno preferito alzare i toni e fare i leoni a Roma, salvo presentarsi come conigli a Bruxelles. Gli elettori hanno dato credito di volta in volta a tutte le fazioni possibili, ritrovandosi a fare un tifo da stadio, anziché analizzare con raziocinio lo stato delle cose.