E’ scattato l’allarme in casa Tesla, ma anche tra gli investitori. Il titolo azionario è crollato dell’8,5% nella seduta di lunedì, mentre ieri ha ceduto un altro 2,19%, ma nel corso della giornata era arrivato a scendere del 13%. Al termine delle contrattazioni di martedì, ogni azione della casa automobilistica valeva poco meno di 699 dollari, cioè qualcosa come oltre il 4% in meno quest’anno. E ieri ha rischiato di scivolare anche ben sotto i livelli di ingresso all’S&P 500, avvenuto il 21 dicembre scorso.
A causa del tracollo, la ricchezza stimata di Elon Musk, fondatore e CEO di Tesla, è diminuita di 15 miliardi di dollari solamente lunedì, venendo così nuovamente superata da Jeff Bezos, a capo di Amazon. Le rispettive fortune erano stimate ieri a 183 contro 186 miliardi. Tra i due, più volte si è verificato il sorpasso nel corso di questo inizio di 2021. I dati andrebbero aggiornati, tuttavia, dopo i cali ulteriori di ieri.
E ancora: le azioni Tesla perdono oltre il 26% rispetto ai massimi toccati il 26 gennaio scorso a più di 883 dollari. Adesso, sono scese sotto la media mobile a 50 giorni, un segnale che indicherebbe la perdita del cosiddetto “momentum” del corso. Ma di preciso, cos’è accaduto? Non esiste un’unica spiegazione e vi riportiamo alcune delle più plausibili ragioni che hanno provocato il crollo di questi giorni.
Per prima cosa, sappiamo che Tesla ha investito 1,5 miliardi di dollari in Bitcoin, legandosi all’andamento della “criptovaluta”. Nei giorni scorsi, quando questa era schizzata fin sopra i 58 mila dollari, sfiorando il +100% da inizio anno, si era stimato che in poche settimane la società sarebbe stata capace di maturare una plusvalenza virtuale di circa 1 miliardo, più di quanto non sia riuscita a guadagnare lo scorso anno con il suo “core” business, che consiste nella vendita di auto elettriche. Tuttavia, ieri il Bitcoin è arrivato a scendere fino in area 45 mila dollari e mentre scriviamo giace sotto la soglia dei 50 mila.
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Auto elettriche senza profitti
Altra possibile motivazione riguarderebbe la presa d’atto da parte del mercato che Tesla continuerebbe a non fare soldi vendendo auto elettriche. Proprio il giorno dopo che le sue azioni raggiunsero il massimo storico veniva pubblicata l’ultima trimestrale del 2020, dalla quale traspare quanto segue: utile netto nell’intero esercizio pari a 721 milioni, ma grazie agli 1,6 miliardi di cosiddetti “regulatory credits” incassati nel corso dell’anno. Cosa significa? Negli USA esistono 11 stati (California, Colorado, Connecticut, Maine, Maryland, Massachusetts, New York, New Jersey, Oregon, Rhode Island e Vermont) che impongono alle case automobilistiche di raggiungere una certa percentuale di produzione di auto a zero emissioni inquinanti. Quante non riescano a centrare l’obiettivo minimo sono costrette a comprare crediti da coloro che sono state capaci di eccedere tale target. E Tesla è chiaramente una di queste, dato che produce esclusivamente auto elettriche, cioè non inquinanti.
Negli ultimi 5 anni, la società ha incassato 3,5 miliardi proprio da questi crediti. Ma la stessa non riesce a sbilanciarsi per il futuro, trattandosi di un business tutt’altro che scontato. Da qui a pochi anni o pochi trimestri, ha ammesso, probabile che questi crediti svaniscano in tutto o in parte. Un bel guaio per una società, che, numeri alla mano, dimostra di non riuscire ancora a fare utili vendendo auto elettriche. Pur in calo, il titolo quotava ieri a circa 1.097 volte gli utili dell’ultimo esercizio, i quali non sono neppure frutto del “core” business. Senza i suddetti crediti, infatti, Tesla avrebbe chiuso anche il 2020 in forte perdita.
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Arriva la concorrenza
E il problema si fa più serio, se si pensa che diverse rivali attive nel comparto auto tradizionale stanno dandosi da fare per spostare le linee di produzione a favore delle elettriche. General Motors ha annunciato che venderà solo questo modello dopo il 2035, mentre Ford punta a farlo in Europa già entro il 2030. Nel frattempo, Apple studia una sua auto elettrica.
Ma se l’offerta di auto elettriche tende a crescere, la domanda sta tenendo realmente il passo? Ebbene, qualche dubbio arriva proprio dal listino di Tesla, che ha tagliato di 2.000 dollari ciascuno i prezzi del Modello Y e del Modello 3. Addirittura, dal catalogo è sparito il modello standard del Modello Y, quello della fascia di prezzo più bassa. Probabile segnale che non vi sarebbe tutta questa domanda che stiamo supponendo, specie tra i clienti con redditi medio-bassi. Del resto, non è un mistero che ad oggi una elettrica costi nettamente più di un veicolo con motore a combustione.
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L’ottimismo del mercato inguaia i titoli tech
Infine, da notare come nell’insieme è tutto l’indice Nasdaq Composite a soffrire nelle ultime sedute. Esso racchiude le prime 100 società per capitalizzazione presenti sul Nasdaq, tra cui i titoli tecnologici Apple, Amazon e Microsoft. Questi sono stati i grandi vincitori della pandemia, avendo corso mentre gli altri si fermavano o indietreggiavano sulle prospettive di una società globale sempre più incline allo smart working, cioè all’uso delle tecnologie per lavorare e trascorrere il tempo libero. Ma adesso che si respira un’aria di cauto ottimismo per effetto delle vaccinazioni di massa negli USA e nel Regno Unito (molto più lente nella UE), il mercato starebbe mettendo gli occhi sui titoli pro-ciclici.
In conclusione, Tesla ha preso una mazzata. Questo non autorizza a pensare che il suo rally in borsa si sia concluso.
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