Ancora una volta, davanti all’Europarlamento il governatore della BCE, Christine Lagarde, ha voluto fugare ogni dubbio circa la possibilità che l’istituto proceda alla cancellazione dei debiti degli stati dell’Eurozona, acquistati attraverso i programmi monetari noti come “quantitative easing” e PEPP. Si tratterebbe di un’operazione puramente contabile “inutile e illegale”, ha ribadito, perché con una mano si darebbe e con l’altra si prenderebbe, rivelandosi di alcun impatto sull’economia.
Senza dubbio, Lagarde racconta la verità formale dei fatti.
La questione sta diventando sempre più importante, non fosse che per il fatto che la BCE possegga una quota ormai significativa del debito pubblico dell’Eurozona. Attraverso il QE deteneva alla fine di febbraio titoli di stato per 2.492 miliardi di euro e altri più di 768 miliardi per mezzo del PEPP, il piano d’emergenza varato un anno fa esatto per reagire alle conseguenze del Covid sull’economia continentale. Di questi, risultano essere complessivamente italiani bond per circa 555 miliardi, pari al 17% del totale e al 21,3% dello stock accumulato dal nostro Paese al 31 gennaio scorso.
Perché l’Italia non può chiedere alla BCE la cancellazione del debito pubblico
Il condono informale dei debiti
E’ naturale che la politica si faccia venire in mente progetti strani, non solo nell’Eurozona a dire il vero.
Tuttavia, tra la cancellazione tout court e la cancellazione di fatto del debito esiste un ventaglio di soluzioni compatibili con la legislazione europea e la stessa reputazione della BCE. Il debito grava sui conti pubblici di uno stato nel momento in cui bisogna pagarne gli interessi per servirlo. E se alla scadenza i tassi di mercato risultano aumentati, il fardello tende a lievitare.
La BCE potrebbe, a un certo punto, annunciare che tutti i debiti degli stati siano trasformati in un maxi-bond a lunghissima scadenza e con cedola bassissima. Ad esempio, tutte le scadenze verrebbero estese a 100 anni e pagherebbero un tasso d’interesse dello 0,5%. In questo modo, i contribuenti beneficerebbero sia del mancato bisogno di rinnovare parte dei debiti negli anni seguenti, sia dello sfoltimento delle cedole. La spesa per interessi si ridurrebbe drasticamente e tra un secolo restituiremmo una somma nei fatti sgonfiatasi per la perdita del potere d’acquisto accusata con l’inflazione.
Sassoli rilancia il tema della cancellazione del debito in mano alla BCE
La cancellazione dei debiti è già nei fatti
Ma non servirebbe neppure un annuncio simile. La BCE potrebbe limitarsi al rinnovo incondizionato dei titoli alle rispettive scadenze, sottraendole di fatto al mercato. In questo modo, il debito sarebbe automaticamente rifinanziato, sebbene continuerebbe a gravare sui conti pubblici tramite gli interessi. Una pura formalità, comunque, dato che la BCE con una mano si farebbe pagare le cedole dai governi, dall’altra le restituirebbe loro sotto forma di utili.
Questa seconda soluzione sarebbe formalmente meno drastica, ma avrebbe il limite di non segnalare con certezza ai mercati il rinnovo automatico dei debiti. Gli investitori potrebbero a tratti avere la sensazione che la BCE decida di non riacquistarli più, almeno parzialmente, scontandone il potenziale impatto sui conti pubblici. Si consideri, però, che in questa medesima condizioni versino ormai tutte le principali banche centrali e che nessuna di esse stia segnalando di voler dimagrire il proprio bilancio, temendo la destabilizzazione finanziaria ed economica. La Federal Reserve ci aveva provato nel 2019, ma dovette arrendersi dopo pochi mesi, tagliando i tassi e tornando ad acquistare Treasuries già prima della pandemia. E questo non lo ammetterà alcun governatore. Non fatevi traviare dalla retorica ufficiale: i debiti nei bilanci delle banche centrali sono lì per restarci a lungo, se non per sempre.
La “cancellazione” mascherata del debito pubblico da parte della BCE