Telelavoro dall’estero: regole di tassazione

La tassazione del reddito deve avvenire solo Paese in cui il telelavoratore è fisicamente presente e fiscalmente residente nello svolgimento della propria attività lavorativa
3 anni fa
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cambio di residenza

Un soggetto italiano iscritto all’AIRE che svolge attività di telelavoro dalla propria abitazione del Regno Unito per una azienda fiscalmente residente nel territorio italiano, dovrà tassare il reddito nel Paese in cui svolge l’attività lavorativa e non in quello è ubicata la società per cui lavora.

È in sintesi il contenuto della Risposta n. 296 del 2021 data dall’Agenzia delle Entrate ad apposita istanza interpello

Convenzione doppia imposizione Italia e Regno Unito

In primis, per risolvere la questione, l’Amministrazione finanziaria richiama la disposizione contenuta all’art.

15 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito, sottoscritta il 21 ottobre 1988 e ratificata con legge 5 novembre 1990, n. 329.

Nella citata norma si stabilisce che la tassazione dei redditi da lavoro dipendente è esclusivamente nello Stato di residenza del beneficiario (Regno Unito), a meno che l’attività lavorativa, a fronte della quale sono corrisposti i redditi, è svolta nell’altro Stato contraente (Italia). In quest’ultima ipotesi, i predetti emolumenti sono assoggettati a imposizione concorrente in entrambi i Paesi.

La stessa disposizione normativa prevede altresì che la tassazione è esclusiva nello Stato di residenza (Regno Unito) anche per i redditi erogati per un lavoro svolto nell’altro Stato (Italia), se ricorrono tre condizioni, ossia:

  • il lavoratore soggiorna nell’altro Stato (Italia) non oltre 183 giorni
  • le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato (Italia)
  • la stessa retribuzione non è a carico di una stabile organizzazione con sede nell’altro Stato (Italia).

Telelavoro dall’estero: regole di tassazione tra Italia e Regno Unito

Dopo la doverosa ricostruzione normativa, per rispondere alla richiesta di chiarimento contenuta nell’istanza di interpello in commento, l’Agenzia delle Entrate ritiene che bisogna concentrarsi su cosa si intenda per “luogo di prestazione dell’attività lavorativa” nella particolare ipotesi di “telelavoro”.

L’Amministrazione richiama, quindi, il commentario, al citato art.

15, paragrafo 1, del modello OCSE di convenzione per eliminare le doppie imposizioni, secondo il quale

per individuare lo Stato contraente in cui si considera effettivamente svolta la prestazione lavorativa, bisogna considerare il luogo dove il lavoratore dipendente è fisicamente presente quando esercita le attività per cui è remunerato. Si aggiunge che il reddito percepito dal lavoratore dipendente non può essere assoggettato a imposizione nell’altro Stato contraente (Italia), anche se i risultati della prestazione lavorativa sono utilizzati in detto Stato.

In applicazione di ciò, dunque, le Entrate giungono a concludere che anche se i risultati della prestazione di telelavoro (lavoro da casa) svolto nel Regno Unito sono utilizzati in Italia, la tassazione del reddito deve avvenire solo nel Regno Unito stesso, ossia nel Paese in cui il telelavoratore è fisicamente presente e fiscalmente residente quando svolge la propria attività lavorativa.

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Pasquale Pirone

Dottore Commercialista abilitato approda nel 2020 nella redazione di InvestireOggi.it, per la sezione Fisco. E’ giornalista iscritto all’ODG della Campania.
In qualità di redattore coltiva, grazie allo studio e al continuo aggiornamento, la sua passione per la materia fiscale e la scrittura facendone la sua principale attività lavorativa.
Dottore Commercialista abilitato e Consulente per privati e aziende in campo fiscale, ha curato per anni approfondimenti e articoli sulle tematiche fiscali per riviste specializzate del settore.

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