Riforma pensioni: verso uscita dal lavoro a 62 anni

In alternativa si potrà andare in pensione con 41 anni di contributi. Pressing di sindacati e partiti per la riforma delle pensioni.
4 anni fa
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riforma pensioni

A sette mesi dal termine di quota 100, si intensifica il pressing per la riforma delle pensioni. Sindacati e parte dei partiti non vogliono più sentir parlare di ritorno alla Fornero. A 62 anni di età, la pensione è un diritto, non un privilegio.

Il tempo stringe, quindi, per la riforma delle pensioni. Quota 100 non sarà mantenuta, ma, anzi, potrebbe essere migliorata. Non più 62 anni di età e 38 di contributi, ma 62 anni e almeno 20 anni di contributi.

Riforma pensioni verso uscita a 62 anni

Una proposta, quella dei sindacati, che andrebbe incontro anche ai desideri della Lega, ma soprattutto a quella del premier Mario Draghi.

Mandare in pensione più gente possibile per liberare posti alla base e dare lavoro ai giovani.

Oggi in Italia c’è una disoccupazione giovanile del 33% con punte al Sud che superano il 60%. Una vergogna se si pensa al futuro delle nostre generazioni. In questo senso la riforma Fornero (in pensione a 67 anni) è stato un terribile errore.

Certo, permettere di lasciare il lavoro a 62 anni atutti indistintamente vorrebbe dire mettere in conto una spesa pensionistica enorme. Ecco quindi, che si sta studiando la possibilità di rendere flessibile la riforma delle pensioni. Cioè consentire l’uscita dal lavoro a 62 anni per i mestieri gravosi e usuranti.

La proposta di Tridico

In alternativa, secondo il presidente dell’Inps Pasquale Tridico, si potrebbe considerare un anticipo pensionistico a metà per tutti. Solo con la parte contributiva maturata, a 62/63 anni di età e con un minimo di 20 anni di contributi versati. Il resto, la quota retributiva di pensione, la si otterrebbe al compimento dei 67 anni.

In questo modo si manterrebbe in piedi la possibilità di lasciare il lavoro con gli stessi requisiti anagrafici previsti per quota 100 (62 anni di età). Ma con una “penalizzazione” temporale sulla quota di pensione calcolata per i versamenti ante 1996.

Una soluzione che permetterebbe di salvaguardare i conti dell’Inps e di sfruttare i risparmi (9 miliardi) per quota 100.

Allo stesso tempo la pensione duale così calcolata sarebbe disincentivante per chi volesse lasciare il lavoro prima dei 62 anni di età.

Il no dei sindacati

L’idea di Tridico si scontra però con l’opposizione netta dei sindacati che la bocciano sul nascere. Dice Domenico Proietti, segretario confederale Uil:

la proposta del presidente dell’Inps di corrispondere la pensione in due tranche, a 62 anni la quota contributiva e a 67 quella retributiva, è estemporanea e fuori da ogni realtà. E’ un esercizio di fantasia sulle spalle dei futuri pensionati e sarebbe l’ennesima ingiustizia inflitta ai lavoratori italiani“.

Tridico poi sbaglia quando paragona la riforma Dini del 1995 alla Legge Fornero. La riforma Dini, alla cui definizione il sindacato diede un contributo rilevantissimo, si fondava proprio sulla flessibilità, mentre la Legge Fornero non fu una riforma ma una gigantesca operazione di cassa.

Oggi il tema – spiega Proietti – è quello di riallineare l’accesso alla pensione in Italia a quello che avviene negli altri paesi della UE, intorno a 62 anni. Invitiamo il presidente Tridico a concentrare il suo impegno per il pieno e efficiente funzionamento dell’Inps“.

Quota 41

In questo senso deve essere il governo, il parlamento e le parti sociali a fare la riforma delle pensioni. Così, oltre a quota 62 per molte categorie di lavoratori, deve essere introdotta anche quota 41. Cioè un limite massimo di contributi versati per i quali sorge il diritto alla pensione indipendentemente dall’età.

Quindi, due sarebbero i requisiti fondamentali per la prossima riforma delle pensioni: l’età a 62 anni e i contributi a quota 41, in alternativa. Una soluzione ideale che allontanerebbe il pericolo dello scalone di 5 anni con le regole della Fornero per il dopo quota 100.

Bisogna, infatti, evitare che si ripresenti il problema degli esodati, oggi giunti alla nona salvaguardia.

Lavoratori che, a causa dello scalone creato dalla Fornero, avevano perso il diritto ad andare in pensione con le vecchie regole dopo aver presentato domanda ed essersi dimessi dal lavoro.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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