Non bastavano le tensioni pre-elettorali in Perù, né lo scampato pericolo in Ecuador di poche settimane fa. Adesso, la stabile e florida economica del Cile si aggiunge agli sconquassi politici nel Sud America e ieri ha provocato un crollo dei mercati. Domenica, i cittadini hanno eletto i 155 rappresentanti dell’assemblea incaricata di redigere la nuova Costituzione. I risultati sono stati scioccanti: appena 37 seggi sono stati conquistati dal centro-destra al governo del presidente Sebastian Pinera. Peggio è andata al centro-sinistra con 25 seggi, mentre 45 sono stati gli eletti indipendenti e altri 28 tra le file dell’estrema sinistra.
In sostanza, i partiti tradizionali sono stati spazzati via e il centro-destra pro-mercato non ha ottenuto neppure una minoranza dei seggi capace di bloccare l’approvazione della riforma costituzionale con maggioranza dei due terzi. Tempestiva la reazione degli investitori. L’indice IPSA ha perso il 9,33%, scendendo a 4.148 punti. Il tasso di cambio contro il dollaro si è deprezzato di oltre il 2% e ancora stamattina continua a indebolirsi, pur di poco. Male anche i bond: rendimento a 10 anni dal 3,81% al 3,94%, a 2 anni dall’1,10% all’1,22%.
Il presidente Pinera ha ammesso che l’attuale classe politica non è stata capace di cogliere le istanze di cambiamento dei cittadini e ha promesso una Costituzione più inclusiva. Ma perché questo crollo dei mercati? Il Cile è un’economia liberale e relativamente ricca, esempio raro di efficienza e stabilità in tutto il Sud America. L’attuale Costituzione è quella redatta dal regime di Augusto Pinochet negli anni Ottanta. Secondo i detrattori, sarebbe troppo favorevole alle multinazionali e poco inclusiva.
Crollo dei mercati, ecco perché
Il timore degli investitori è che anche in Cile si sia presa una china anti-mercato, similmente al resto della regione. E una conferma la si è avuta anche dai risultati delle elezioni comunali. La capitale Santiago del Cile è stata conquistata dall’attivista comunista Iraci Hessler, di appena 30 anni.
Tutto ebbe inizio nell’ottobre del 2019. Il governo propose l’aumento del costo del biglietto della metro di appena 4 centesimi di dollari. Gli oppositori presero a pretesto la misura per mettere a ferro e fuoco le principali città, specie la capitale. La polizia reagì ai saccheggi e uccise numerosi manifestanti, tra cui qualche adolescente. Dal ritorno alla democrazia nel 1990, mai si erano viste manifestazioni di piazza così imponenti contro il governo. Pinera cerca di calmare le acque promettendo un referendum per far decidere ai cileni se riformare o meno la Costituzione.
Il Cile estrae annualmente 5,7 milioni di tonnellate di rame e 18.000 tonnellate di litio. Una proposta di legge in Parlamento punta ad aumentare le royalties sulle materie prime. Il governo di centro-destra si oppone, ma è evidente che dopo la sconfitta eclatante di domenica stiano prendendo il sopravvento le posizioni più anti-mercato del paese. E questo, proprio in un momento in cui l’economia domestica potrebbe avvantaggiarsi del boom del rame. Le sue quotazioni quest’anno sono salite di circa il 40% ai massimi storici di 10.275 dollari per tonnellata.
Le tensioni nel Sud America
Ma in tutto il Sud America tira una pessima aria. In Ecuador, la vittoria del candidato socialista ostile al Fondo Monetario Internazionale è stata scongiurata per un soffio al ballottaggio. Nel Perù, un insegnante marxista potrebbe avere la meglio al ballottaggio del prossimo 6 giugno. In Bolivia, dopo la cacciata di Evo Morales nel 2019, i socialisti contrari al capitalismo sono tornati al potere a furor di popolo. In Argentina, la breve esperienza liberale di Mauricio Macri alla presidenza è stata succeduta dal ritorno dei peronisti di sinistra al governo, con tanto di nuovo default e isolamento del paese sui mercati internazionali.
Le proteste in Cile sono all’insegna della richiesta di una società meno iniqua.