Per i giovani lavoratori di oggi, i cosi detti millenials, le prospettive lavorative e di pensione sono da brivido. Con le regole attuali, quelle previste dalla riforma Fornero, la pensione per loro arriverà non prima dei 70 anni.
Oltretutto non sarà una pensione dignitosa, ma da fame. Già, perché il lavoro sempre più precario e saltuario con frequenti vuoti contributivi non consentirà di ottenere una pensione per poter vivere dignitosamente.
Giovani in pensione a 70 anni
I giovani non si preoccupano della loro pensione ed è normale.
In passato si è cercato di allungare l’età pensionabile per ragioni di bilancio. Così nel 2011 il governo Monti ha distrutto una generazione e condannato l’Italia alle pene di una crescita economica zero. Ha inchiodato gente al lavoro fino a 67 anni con la scusa delle migliori aspettative di vita ingessando il turn over occupazionale.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Un rallentamento della crescita economica, una disoccupazione giovanile al 33% con conseguenze disastrose sulle giovani generazioni, quelle che non potranno beneficiare delle regole pensionistiche del regime misto.
Senza lavoro o precari
Così, fra una piccola riforma e l’altra per tamponare si è arrivati ai giorni nostri. L’Italia sta diventando sempre più un Paese assistenziale, ma da fame. I giovani si ritrovano spesso senza lavoro o con contratti di lavoro precario, spesso saltuario. Ne andrà della loro pensione futura.
A poco serve oggi possedere un titolo di studio qualificato o una laurea. Gran parte del know how e della produzione è spostata all’estero. Di conseguenza l’offerta non incrocia adeguatamente la domanda di manodopera delle aziende e i risultati sono contratti di lavoro instabili e spesso sottopagati.
Un quadro di disagi che, come scrive l’Istat, si può sintetizzare così per i millenials: a cinque anni dal completamento degli studi, poco più di un giovane italiano su tre ha un lavoro stabile. Mentre uno su tre è disoccupato. Uno su dieci possiede una casa di proprietà e quattro giovani su dieci non fanno richiesta di mutuo perché non hanno le condizioni necessarie per ottenerlo.
Pochi contributi per andare in pensione
Anche il versamento dei contributi risulta quindi saltuario e lacunoso. Sarà difficile mettere insieme 20 anni di versamenti, il requisito minimo per ottenere la pensione anticipata o di vecchiaia. Si slitta così verso i 70 anni l’età per la pensione di vecchiaia. Già, perché con meno 20 anni di contributi versati, le regole della Fornero prevedono la pensione solo al raggiungimento di questa veneranda età.
Più precisamente, i lavoratori che non godono di versamenti contributivi effettuati prima del 1 gennaio 1996 (anche una sola settimana) potranno andare in pensione di vecchiaia con almeno 20 anni di contribuiti solo se l’importo della pensione calcolata risulta non inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale (attualmente è pari a 460,28 al mese).
Soglia limite che per il 2021 ammonta a 8.975 euro all’anno. In difetto, il lavoratore potrà andare in pensione solo al compimento del 70 esimo anno di età. Una misura che penalizza soprattutto chi ha iniziato a lavorare dal 1996.
Niente trattamento minimo
Il sistema di calcolo interamente contributivo, quello che interessa appunto i giovani lavoratori, unito a rapporti di lavoro discontinui tipici del nuovo millennio, rischiano di lasciare i lavoratori d’oggi senza pensione. O comunque con in mano un assegno al di sotto del minimo vitale previsto per chi ha diritto alla pensione col sistema misto.
Pertanto è necessario garantire una pensione di garanzia ripristinando il trattamento minimo (515,58 euro) per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995.
A tal fine, l’idea suggerita dai sindacati sarebbe quella di trasformare la pensione di cittadinanza in pensione di garanzia. Cioè legare il trattamento pensionistico ai coefficienti patrimoniali e a bisogni sociali del richiedente.