Giovedì, abbiamo avuto conferma che il tasso d’inflazione negli USA a maggio sia schizzato ai massimi da 13 anni, salendo al 5%. Il dato “core”, al netto di generi alimentari e prodotti energetici, si è portato al 3,8%, ai massimi dal 1992. Anziché impennarsi, i rendimenti dei Treasuries sono scesi. E il rendimento decennale dell’Italia oggi è diminuito allo 0,76%, livello minimo da quasi due mesi. Può sembrare un controsenso. Un’inflazione più alta implica rendimenti reali più bassi, per cui i livelli nominali devono salire per lasciare inalterata la remuneratività dei bond.
Ma l’altro ieri è stata la volta anche della BCE, che ha non solo confermato gli stimoli monetari e i tassi, ma ha anche rassicurato che gli acquisti di bond con il PEPP resteranno invariati per il prossimo trimestre. Il combinato tra queste due notizie ha fatto arretrare il rendimento decennale del BTp. E’ successo, infatti, che la Federal Reserve stia rassicurando i mercati circa la natura “transitoria” della reflazione in corso. E gli obbligazionisti, a quanto pare, stanno credendoci. Ciò ha spinto il Treasury a 10 anni all’1,46%, anche perché dopo il board di Francoforte i fondi hanno capito che non c’è trippa per gatti fuori dall’America.
Rendimento decennale ancora relativamente molto ghiotto
Se facessimo un raffronto tra il rendimento decennale USA e quello in Europa, ci accorgeremmo che attualmente le migliori occasioni d’investimento siano nel Vecchio Continente. Può sembrare paradossale affermare qualcosa del genere, quando sappiamo che il nostro sia il regno dei rendimenti negativi. Tuttavia, il rendimento reale del Treasury a 10 anni oggi viaggia al -3,55%. Al confronto, il -0,55% del BTp è oro colato. Il Bund della Germania sulla medesima scadenza offre ancora il -2,75/-2,80%. Un po’ di luce s’intravede in Grecia, dove lo 0,73% del rendimento decennale si confronta con un’inflazione a maggio di appena lo 0,1%.
Da questi dati emerge anche che lo spread reale a 10 anni tra Italia e Grecia sarebbe di oltre 115 punti base a nostro favore. Invece, quello con la Germania supera i 220 punti, il doppio di quello nominale, ma stavolta a nostro sfavore. Il rendimento decennale reale del BTp è di ben 300 punti (3%) sopra il Treasury di pari durata. Dovremmo attenderci, in assenza di tensioni geopolitiche sull’Italia, un afflusso di capitali da Oltreoceano sui BTp. Almeno, fino a quando l’inflazione americana non si sarà sgonfiata su livelli più sostenibili e/o quella italiana e dell’Eurozona non saranno salite stabilmente minacciose sopra il target della BCE. Di fatto, dall’ultima emissione del BTp in dollari a 30 anni (ISIN: US465410CC03) di fine aprile, lo spread con il Treasury trentennale è crollato di un terzo di punto, passando da 164 a 132 punti.