Negli ultimi mesi, abbiamo imparato una nuova espressione in voga sui mercati finanziari: “meme stock”. Non è facile trovare una definizione calzante in lingua italiana. Potremmo definirle “azioni social”. Due sono i titoli di questo tipo più conosciuti: AMC e GameStop. Registrano rialzi spettacolari, rispettivamente di circa 1.200% e 2.920%. Ma la speculazione in borsa non nasce certamente con loro. E’ dai tempi dei tulipani in Olanda (siamo nel diciassettesimo secolo) che sui mercati si registrano fenomeni di questo tipo. In questi stessi mesi, ad esempio, non mancano le azioni oggetto di elevati acquisti e che, tuttavia, non hanno niente a che vedere con i “meme stock”.
Per rientrare in questa nuova e, per certi versi, assurda categoria, devono sussistere alcune caratteristiche salienti. Ne abbiamo individuate cinque. La prima è di essere oggetto di elevato “short selling”. In altre parole, il titolo è nel mirino degli investitori ribassisti attraverso le vendite allo scoperto. La ragione è semplice. E passiamo alla seconda caratteristica: le azioni sono emesse da una società che naviga in cattive acque.
Altra caratteristica che si riscontra tra le “meme stock” riguarda gli alti volumi quotidiani scambiati. Pensate che in una sola seduta può passare di mano un quarto delle azioni GameStop, quando per grosse aziende come Apple si scende anche nettamente sotto l’1%. Quarta caratteristica: essere oggetto di discussione su uno o più siti/forum social. Qui, ci troviamo dinnanzi a un passaggio imprescindibile per potere parlare di “meme stock”, tant’è che esistono già software a disposizione delle case d’investimento, capaci di rilevare il nome delle azioni di cui si parla prepotentemente in un dato lasso di tempo. Sta a chi lo utilizza decidere se evitarle o se, al contrario, accodarsi all’andazzo, pur temporaneo. Da questa caratteristica deriva anche l’identikit del trader-tipo: giovanissimo, spesso inesperto e lontano dalla grande finanza.
L’obiettivo “morale” per le meme stock
Infine, l’ingrediente clou di tipo moralistico, se vogliamo: chi compra “meme stock” lo fa con la convinzione e la volontà di fare male ai venditori allo scoperto, cioè agli investitori ribassisti della grande finanza tradizionale, considerati un male dei mercati moderni. Ciò opera una profonda distinzione con la speculazione finanziaria classica. In quel caso, chi compra, punta a rivendere il titolo a un prezzo più alto, anche in barba ai fondamentali. L’unico scopo è di fare soldi. Non che i trader di “meme stock” non vogliano fare soldi; semplicemente, ammantano le loro operazioni di finalità apparentemente nobili, come quella di salvare un business in malora.
Riassumendo, funziona così: i trader iscritti a un forum online iniziano a discutere di un’azione pesantemente “shortata” e concordano di punire gli speculatori ribassisti acquistandola in massa. Scatta il fenomeno dello “short squeeze”, che finisce per amplificare acquisti e guadagni, provocando perdite a carico della finanza tradizionale. A questo punto, la società beneficiaria del boom azionario può avvantaggiarsene. Come? Emettendo nuove azioni a prezzi stellari rispetto a quelli precedenti all’attacco speculativo e incassando così liquidità da impiegare per abbattere il debito e/o rilanciare il business tramite nuovi investimenti. Il caso AMC insegna. I trader più avveduti e fortunati guadagnano anche a 3-4 cifre in brevissimo tempo e trovano conforto morale nel fatto che le loro operazioni abbiano salvato o mirato a salvare una società.