Olaf Scholz non sarà carismatico, ma ha un viso di quelli a cui affideresti i tuoi soldi senza neppure chiedergli come si chiami. Il ministro delle Finanze tedesco a fine mese potrebbe vincere le elezioni federali in Germania e diventare il prossimo cancelliere dopo il lungo regno di Angela Merkel, durato 16 anni. Ma alle spalle ha un passato tutt’altro che ineccepibile, gravato da due gravi scandali finanziari.
Socialdemocratico di Amburgo, guida l’ala centrista del partito e molti lo considerano trasversalmente il vero erede di Frau.
Dicevamo, due grossi scandali finanziari pendono sulla testa di Scholz. Il primo lo riguardò molto personalmente nel 2016. Si scoprì che un gruppo di banche tedesche usarono uno schema per evitare di pagare le tasse. Tra queste vi era Warburg Bank, con sede proprio ad Amburgo e che si scoprì frodare la città di 90 milioni di euro. Ma l’amministrazione di Scholz aveva rinunciato a riscuotere 43 milioni e servì l’intervento del governo federale per costringerla a incassare tale somma.
Scandali finanziari da Amburgo a Berlino
Scholz non ha mai chiarito due cose: in primis, per quale ragione rinunciò a incassare 43 milioni di tasse dovute e secondariamente sui suoi incontri con il CEO di Warburg, Christian Olearius. Dichiarò di averlo incontrato solo una volta nel 2016 e smentì che oggetto della discussione fu la questione fiscale.
E arriviamo all’affare Wirecard. La società dei pagamenti elettronici fu colta con le mani nel sacco nel 2020, quando si scoprì che 1,9 miliardi di euro, formalmente custoditi in trust all’estero, fossero inesistenti. Per anni, i conti erano stati truccati e risultò un flusso di denaro sospetto verso l’Africa. Il suo CEO, Markus Braun, si trova attualmente in carcere. La Consob tedesca, BaFin, anziché indagare dopo la pubblicazione di un’apposita indagine condotta dal Financial Times, decise nel 2019 di vietare le vendite allo scoperto delle azioni Wirecard. Fino agli arresti, le autorità finanziarie di Berlino finsero di non vedere. A capo di esse, in qualità di ministro delle Finanze, vi era proprio Scholz.
La scorsa settimana, i procuratori hanno inviato nella sede del Ministero i propri uomini per verificare se l’unità di intelligence finanziaria abbia subito pressioni per girarsi dall’altra parte. Scholz ha stigmatizzato il raid, sostenendo che gli inquirenti avrebbero potuto ricevere le informazioni comodamente tramite email. Ora, la politicizzazione del caso rischia di oscurare la verità. Ma il probabile prossimo cancelliere spera di guidare il governo federale senza mai avere almeno contribuito a fare luce su due scandali finanziari che lo riguardano, di cui il primo molto da vicino. Avrà anche la faccia da brav’uomo, ma anche qualche scheletro nell’armadio di cui dovrà dare conto.