L’America ha evitato lo “shutdown” per un soffio, cioè la chiusura delle attività federali. Venerdì sera, a pochissime ore dalla scadenza di mezzanotte, il Congresso ha approvato lo sblocco dei fondi a favore dei rifugiati afghani e delle vittime colpite in estate dagli incendi e le tempeste. Tuttavia, democratici e repubblicani continuano a non trovare un accordo sull’innalzamento del cosiddetto “debt ceiling”, rischiando seriamente di mandare l’America in default.
Per capire di cosa stiamo parlando, dobbiamo premettere che la situazione dell’America sia un unicum nel mondo.
Al Senato, servono 60 voti per innalzare tale tetto, ma i democratici posseggono una maggioranza assoluta appena sufficiente. Dunque, in assenza di accordo con i repubblicani, il tetto al debito non potrà essere innalzato e il default scatterebbe dal momento in cui il Tesoro non pagasse gli interessi sui debiti già contratti. Continuerebbe, invece, a emettere debito solo per ripagare quello in scadenza, senza la possibilità di farne di nuovo.
I precedenti di default sfiorato in America
L’innalzamento del tetto è avvenuto 78 volte dal 1960. Ma una situazione così tesa la si è sfiorata più volte nell’ultimo decennio. L’episodio più grave risale all’estate del 2011, quando il Congresso trovò un accordo bipartisan a soli due giorni dalla scadenza del 2 agosto. La vicenda ebbe ripercussioni severe, poiché l’agenzia di rating S&P rimosse la tripla A sui titoli del debito americano.
Dunque, davvero l’America può andare in default? E cosa accadrebbe nel caso? Tecnicamente, esisterebbero diverse modalità per evitare la mancata ottemperanza alle obbligazioni contratte. Il presidente potrebbe ricorrere ai poteri esecutivi per difendere la credibilità del dollaro, nel cui nome i debiti sono stati contratti. Persino il Congresso eviterebbe il default attraverso il cosiddetto “budget reconciliation”, abbassando a 50 il numero dei voti necessari al Senato per approvare l’innalzamento del tetto al debito.
Se i democratici non lo fanno, è semplicemente per evitare di essere considerati gli unici responsabili dell’aumento del debito. Certo, il default dell’America farebbe tremare il mondo. I mercati finanziari verosimilmente andrebbero in escandescenze, anche se non si tratterebbe realmente di un paese fallito, bensì di uno resosi tecnicamente incapace di onorare i suoi debiti. Non sarebbe meno grave di un fallimento vero e proprio, anche perché bloccare i pagamenti manderebbe l’economia americana in recessione. L’episodio svelerebbe, poi, l’incapacità delle istituzioni di accordarsi per fare in modo che il governo federale riesca a funzionare. In sostanza, la politica americana non riuscirebbe a fare quello che nel resto del mondo avviene quotidianamente senza alcuna tensione tra le parti.
Il tetto al debito è una cosa seria
Detto questo, la questione del tetto al debito andrebbe presa più seriamente di come la si dipinge. E’ vero, in buona parte si tratta di uno “show” degli uni contro gli altri. Tuttavia, è innegabile che la corsa del debito sia diventata insostenibile. Negli ultimi 15 anni, lo stock è esploso di 3,5 volte. Era di 8.500 miliardi a fine 2006. In rapporto al PIL, il debito è raddoppiato da meno del 65% al 127% del 2020. E dire che dal 2008 la Federal Reserve tiene i tassi d’interesse bassissimi e consente al Tesoro di indebitarsi a costi reali perlopiù negativi.
Al di là dell’estrema polarizzazione politica, il nodo reale sta tutto qui. L’America fa troppi debiti, a seguito della pandemia ne ha accumulati per altri 5.500 miliardi. E nel decennio 2010-2019, il deficit è stato mediamente sopra il 6%. Un eccesso di spesa pubblica, che svela la grande fragilità del gigante economico: l’incapacità di far scegliere ai suoi cittadini-elettori tra tasse e servizi. Washington vive l’illusione di poter accontentare tutti i bisogni senza alzare la pressione fiscale ed erogando sempre più prestazioni pubbliche. E queste sceneggiate sempre più frequenti segnalano quanto tale sistema non sia sostenibile alla lunga.