Forse non tutti sanno che con il canone RAI si mantengono anche giornali e riviste. Già si tratta di una tassa odiosa e fastidiosa che gli abbonati devono sopportare da 80 anni per finanziare la radio e televisione italiana. Se poi ci si accorge che i soldi vanno anche ai privati, scatta l’indignazione.
Già, perché con una quota del canone RAI, pari a 90 euro all’anno, si finanzia anche l’editoria privata. E ci si domanda perché mai bisogna dare soldi alle case editrici che guadagnano abbastanza e comunque fanno già pagare le informazioni che diffondono.
Stop alla quota di canone all’editoria
Così il nuovo amministratore delegato della RAI, Carlo Fuortes, ha proposto di eliminare la quota del canone destinata annualmente al Fondo per l’editoria. Si tratta, per l’esattezza, di 110 milioni di euro, che corrisponde al 6,5% degli incassi annuali derivanti dal canone RAI.
In pratica, ogni singolo abbonato privato, versa annualmente quasi 6 euro per finanziare l’editoria privata. In totale, la quota del canone RAI ammonta a 90 euro all’anno ed è addebitata ogni due mesi con la bolletta dell’elettricità.
Da notare che il governo eroga tuttora dei contributi per sostenere l’attività editoriale di quotidiani e periodici per garantire, in questo modo, il pluralismo dell’informazione. Soldi che arrivano da altri canali, diversi da quello del canone RAI.
Insorge la Fieg
Se la proposta dovesse essere accolta nella legge di bilancio, si potrebbero risparmiare 110 milioni all’anno. Cifra che non graverebbe più sulle tasche dei contribuenti che potrebbero vedersi ridurre l’importo annuale del caone RAI di una decina di euro. Contrari ovviamente gli editori e la Fieg, la quale sostiene che
“la quota del canone, che va al fondo per l’editoria, ha come obiettivo il pluralismo dell’informazione a copertura di un fondamentale servizio al pubblico quale quello offerto dai giornali”.
Parte di quelle risorse è destinata al finanziamento di contributi diretti assegnati ad un numero assai limitato di quotidiani e periodici. Giornali editi dalle cooperative di giornalisti, dalle fondazioni ed espressione delle minoranze linguistiche, ma che contribuiscono comunque a garantire una informazione plurale.