Che Draghi sostenga la riforma pensioni Fornero è fuori discussione. Da quando lo scorso mese di luglio ha nominato l’ex ministro del Lavoro e Welfare come consulente del governo il quadro è diventato palese.
Ma ci sono altri particolari che confermano che Draghi voglia riallineare il sistema delle pensioni ai requisiti previsti dalla Fornero. Una lettera del 2011 fu firmata proprio da Draghi insieme a Jean-Claud Trichet (ex presidente Bce) per chiedere al governo italiano di intervenire sulle pensioni.
La riforma pensioni secondo Draghi
Il contenuto di quella missiva riporta raccomandazioni a intervenire con urgenza sul sistema pensionistico italiano rendendo più rigidi i criteri di uscita.
Cosa poi realmente accaduta con l’arrivo di Monti a Palazzo Chigi e con Elsa Fornero alla guida del ministero del Welfare. Da lì la riforma che ora tutti conosciamo: in pensione a 67 anni di età, ma con possibilità di allungare l’uscita in base al miglioramento della speranza di vita.
Da non dimenticare che quella riforma fu proposta dal governo Monti. Ma poi fu votata in Parlamento da tutte le forze politiche che sostenevano il governo: da Forza Italia ai democratici, ad eccezione della Lega che si oppose.
Perché la Fornero è ancora al governo?
Capire perché Elsa Fornero, ritenuta responsabile del macello sulle pensioni nel 2012, è tornata al governo (dalla finestra) è facilmente intuibile. Le previsioni di spesa dell’Italia per le pensioni sono peggiorate con la pandemia.
Per sostenere la spesa previdenziale (l’Italia è fra i Paesi Ocse che spende più di tutti per il welfare) è necessario eliminare le pensioni anticipate e gettare basi solide per le future pensioni dei quarantenni che sono al lavoro.
Nei prossimi anni andranno in pensione tutti i baby boomers degli anni 60 e 70 e, in assenza di un ripristino al più presto dei requisiti di uscita previsti dalla Fornero, si rischia il default sociale.
Finora – come sostiene la stessa Fornero – da quota 100 a Opzione Donna sono arrivate controriforme a quello che è l’impianto originario di uscita dal lavoro. E che è l’unico sostenibile nel tempo.
Il problema non è la riforma Fornero del 2012. Questa semmai è una conseguenza del disastro combinato dalla classe politica italiana nel 1969 con l’abbandono del sistema a capitalizzazione per quello più generoso a ripartizione (sistema retributivo). Corretto solo parzialmente nel 1995 dalla riforma Dini.