Il tasso d’inflazione in Italia a novembre è salito al 3,8%, dato massimo dal settembre 2008. Allo stesso tempo, il nostro PIL dovrebbe crescere quest’anno di oltre il 6%. Il mercato obbligazionario generalmente sconta queste dinamiche attraverso i rendimenti, ergo i prezzi. Cerchiamo di capire se il BTp Italia 2026 (ISIN: IT0005332835) confermi o meno prospettive e rischi per l’economia nazionale di cui stiamo discutendo in questi mesi.
Perché questo bond? E’ indicizzato all’inflazione italiana e ha la durata giusta, cioè quei 5 anni (o giù di lì) che il mercato prende come riferimento per un orizzonte temporale di medio-lungo periodo.
Otteniamo che quest’ultimo offre lo 0,17%. Pertanto, l’inflazione media annua scontata dal mercato da qui al 2026 sarebbe esattamente dell’1%. Ebbene, siamo a metà del target BCE del 2%. Soprattutto, molto al di sotto del 4% a cui viaggia in questa fase la crescita tendenziale dei prezzi al consumo. Questo significa non solo che gli obbligazionisti vedano l’inflazione come un fenomeno transitorio, ma anche nettamente calante per i prossimi anni. Altrimenti, pretenderebbero rendimenti più elevati e il BTp Italia 2026 ce lo segnalerebbe.
BTp Italia non segnala tensioni sull’inflazione
C’è un altro bond indicizzato e in scadenza nel 2026: il BTp€i 15 settembre 2026 e cedola 3,10% (ISIN: IT0004735152). Oggi, quota a meno di 123 e offre un rendimento del -1,34%. Anche in questo caso, effettuando un confronto con il bond di pari durata, scopriamo che la differenza risulta essere di poco superiore all’1,50%. Il BTp€i è indicato all’inflazione dell’Eurozona, per cui emerge che il mercato sconterebbe un tasso di crescita annuo dei prezzi basso anche per l’unione monetaria, ma sempre superiore a quello italiano.
Che cosa ci spinge a pensare questo quadro fornito dai due bond? L’inflazione non sarebbe in cima alle preoccupazioni degli obbligazionisti italiani. Evidentemente, essi non pensano che la crescita dell’economia italiana sarà così spumeggiante da minacciare la stabilità dei prezzi. Ma allora dovrebbe preoccuparli proprio la scarsa dinamicità del PIL, un fatto che teoricamente aumenterebbe i rendimenti nominali dei bond. Invece, essi rimangono bassissimi, pur i più elevati dell’Eurozona insieme a quelli della Grecia. E questo sarà verosimilmente lo scenario finché la BCE non avvierà il “tapering”, il taglio degli acquisti di bond.