Lo spread è tornato e ad un certo punto della seduta di ieri superava i 146 punti base per la scadenza a 10 anni, valore massimo degli ultimi 15 mesi. Il rendimento del BTp a 10 anni supera l’1,10%. Le distanze con la Grecia si sono ridotte entro un quarto di punto percentuale. Pensavamo e speravamo che con Mario Draghi a Palazzo Chigi non avremmo sentito più parlare di queste problematiche, ma la realtà si sta rivelando un tantino diversa.
Certo, non c’è alcun allarme in corso.
In primis, essa è dovuta all’attesa normalizzazione della politica monetaria della BCE dopo anni di allentamento straordinario. A marzo, gli acquisti di BTp con il PEPP cesseranno e saranno solo parzialmente rimpiazzati da quelli maggiori con il “quantitative easing”. E l’inflazione che corre verso il 4% non depone a favore degli investimenti obbligazionari con cedole così basse. Tuttavia, in queste ultime sedute sta tornando in auge il rischio politico. Draghi guida il governo italiano da metà febbraio, ma fino a quando continuerà a farlo?
Draghi presidente, spread in altalena
Sappiamo che l’ex banchiere centrale si sia nei fatti auto-candidato alla presidenza della Repubblica con il suo discorso alla conferenza stampa di fine anno. Il problema è che ad oggi non si sa se sarà candidato da altri. A sbarrargli la strada per ora c’è il centro-destra con Silvio Berlusconi che ambisce alla carica. Lo stesso Movimento 5 Stelle si è detto indisponibile ad eleggere il premier. A questo punto, bene che vada Draghi resterebbe al suo posto fino alla primavera del 2023.
Insomma, i mercati stanno votando, come hanno sempre fatto nell’ultimo decennio. Ci sarà molta volatilità a gennaio, mese di rientro dalle vacanze natalizie e, soprattutto, di preparazione all’elezione del successore di Sergio Mattarella. Lo spread scenderà ogni volta che il nome di Draghi passerà di bocca in bocca come quello del possibile prossimo presidente della Repubblica. Salirà quando le sue quotazioni si sgonfieranno. Salvo accordo dell’ultimo minuto, le prime tre votazioni del Parlamento andranno a vuoto per non rischiare di “bruciare” il nome del premier. Alla quarta servirà la maggioranza assoluta, cioè 505 voti. Tutto a quel punto sarà possibile.