Lo spread è salito stabilmente sopra 130 punti nelle ultime settimane sui timori dei mercati che il governo italiano possa essere al capolinea nel caso di mancata elezione di Mario Draghi a presidente della Repubblica. Il premier è percepito più come un fideiussore dei circa 200 miliardi di euro stanziati dall’Unione Europea all’Italia con il Recovery Fund. C’è la sensazione che senza di lui in una posizione apicale a lungo termine nelle istituzioni italiane, il nostro Paese torni ai vizi di sempre.
Eppure, in questi undici mesi scarsi di governo, l’ex banchiere della BCE non ha prodotto chissà quali risultati. Chiudete i giornali, spegnete la TV e guardate in faccia la realtà: di quale riforma Draghi può considerarsi artefice? Ha per caso avviato il risanamento dei conti pubblici o ha proseguito la politica del deficit del predecessore per fronteggiare la pandemia? E’ vero, ha gestito bene la campagna vaccinale, ma i numeri sono del tutto in linea con quelli delle grandi potenze europee. E se fino a qualche settimana fa, l’Italia poteva vantare una curva dei contagi molto più bassa, adesso insieme alla Francia guida la classifica del boom dei casi.
Unico dato realmente positivo, in apparenza: la crescita. Ben superiore alle attese, probabilmente nel 2021 ha superato il 6%. Vero, ma partivamo da condizioni peggiori, dato che il PIL italiano era collassato più che altrove nel 2020. Inoltre, quale merito specifico avrebbe Draghi rispetto a questa crescita? Ha per caso stimolato in qualche modo i consumi o gli investimenti? Niente affatto. Semmai, è senz’altro indubbio che abbia generato maggiore fiducia tra le imprese e le famiglie per via della sua autorevolezza riconosciuta sul piano internazionale.
Draghi presidente per salvare i finanzieri
E allora, per quale ragione i mercati finanziari tifano così spudoratamente per Draghi presidente? In primis, perché certamente vedono di buon occhio la sua figura al Quirinale per il caso in cui le prossime elezioni le vincessero i partiti “euroscettici”. Ma questo è persino un discorso marginale. La verità è che Draghi da governatore della BCE ha salvato la finanza, azzerando i tassi d’interesse e portandoli in negativo sui depositi bancari. Ha, poi, iniettato liquidità a fiumi con le aste T-Ltro e gli acquisti di bond sui mercati. Liquidità che ha fatto esplodere i prezzi degli asset come azioni e obbligazioni.
Adesso, questo mondo patinato è minacciato dal ritorno dell’inflazione. I prezzi al consumo corrono un po’ ovunque ai massimi da decenni. Negli USA, sono al 7%. In Germania, sfiorano il 6%. Le principali banche centrali saranno costrette ad agire nei prossimi mesi per frenare l’inflazione. Federal Reserve e BCE hanno annunciato l’avvio del “tapering”, anzi la prima l’ha già messo in pratica dallo scorso novembre. Ma il tanto temuto rialzo dei tassi deve ancora arrivare. E fa tremare le case d’investimento. Se il costo del denaro sale, sui mercati la liquidità si prosciuga e i prezzi di tante azioni e obbligazioni imploderanno. Verrebbe giù la finanza mondiale.
Cosa c’entra Draghi presidente? I mercati spingono per averlo nella plancia di comando in Europa, così da sfruttare la sua visione monetaria ultra-espansiva per frenare gli istinti restrittivi di paesi come la Germania. A dire il vero, già con il nuovo governo di centro-sinistra Berlino sembra meno propenso a sostenere una stretta monetaria immediata, ma si sa che i tedeschi dinnanzi all’inflazione non guardano in faccia a nessuno.