Ieri abbiamo condiviso un’analisi sulle preoccupazioni dei giovani smontando un luogo comune diffuso sulla pensione futura. Abbiamo visto come l’uscita dipenda dall’età ma anche dagli anni di lavoro. Ma non basta: i contributi versati devono risultare sufficienti per raggiungere un certo importo minimo di pensione (calcolato rispetto alla pensione minima e variabile in base all’età del lavoratore). A questo punto appare interessante analizzare la questione da un’altra prospettiva. Molto spesso ci si limita a pensare “A che età andrò in pensione” ma forse la domanda più opportuna in questo senso è quella che considera tutte le componenti di cui sopra.
Come si calcola il montante contributivo
Partiamo da questo parametro fondamentale ai fini del calcolo della pensione.
Ecco i dati che occorrono:
• la base imponibile annua corrispondente a:
o la retribuzione annua, per i dipendenti;
o il reddito annuo, per i lavoratori autonomi iscritti alle rispettive gestioni previdenziali.
• Il totale dei contributi equivalenti a:
o il 33% della retribuzione annua per il dipendente;
o il 24% del reddito annuo del lavoratore autonomo;
o dal 24% al 33% del reddito annuo per gli iscritti alla gestione separata Inps.
Così si ottiene in montante contributivo che andrà rivalutato con un coefficiente basato sul PIL di ciascun anno in cui sono pervenuti versamenti. Con questo ulteriore step si ottiene la rendita pensionistica mensile applicando il metodo contributivo. I passaggi sono due:
• moltiplicare il montante contributivo complessivo per il coefficiente di trasformazione legato all’età anagrafica di uscita;
• dividere questo importo annuo per 13 mensilità.
Quanto bisogna guadagnare per andare in pensione a 64 anni
Supponiamo che il traguardo anagrafico per il pensionamento sia fissato a 64 anni. Non basta chiedersi quanti anni di contributi servono ma bisognerebbe porgere un occhio allo stipendio.
La stima che si ottiene in risposta alla domanda non può che essere ipotetica ma possiede comunque un importante scopo orientativo.