Chiunque sarà eletto presidente della Repubblica, la politica italiana avrà il suo bel da farsi da un attimo dopo, perché i problemi che finge di non vedere in queste giornate dedicate alla scheda bianca e al toto-Quirinale sbucheranno fuori subito dopo. Serve un governo che lavori a pieno regime e che, anzi, acceleri il passo sulle riforme da implementare per non perdere i fondi europei del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza). L’Unione Europea sborserà in tutto 191,5 miliardi di euro entro il 2026, sebbene la cifra definitiva possa ridursi per il fatto che la crescita economica italiana nel 2021 sia risultata nettamente sopra le stime, mentre quella di altri paesi come Germania e Spagna decisamente inferiore.
Al di là di questo, con il Pnrr arriveranno quest’anno fino a 40 miliardi di euro in due tranche semestrali rispettivamente di 19 e 21 miliardi. Per ricevere tanto denaro, però, l’Italia dovrà centrare ben 102 obiettivi, di cui 47 nei primi sei mesi. E allo scopo dovrà emanare 23 leggi e 43 atti normativi secondari. Non solo è tanta roba, ma oltretutto si tratta di materie divisive e scottanti, tali per cui sarà molto difficile per la maggioranza composita che sostiene il governo andare avanti senza intoppi nell’anno precedente le elezioni politiche.
Vi basti pensare che uno degli obiettivi da centrare consiste nel legare le retribuzioni degli insegnanti alle carriere dei singoli, a loro volta sottoposte a periodiche verifiche di qualità. Vi immaginate la politica italiana mettersi contro un corpaccione ultra-corporativo composto da 800 mila persone-elettori? Del Pnrr già 25 miliardi ci sono stati erogati nell’agosto scorso come anticipo e altri 24,1 miliardi sono stati richiesti dal governo a Bruxelles a dicembre. Per questa prima tranche effettiva, tuttavia, serviranno verifiche che si protrarranno per tutto il primo trimestre.
Riforme e Pnrr ostacoli per il governo Draghi
L’Italia è la prima beneficiaria dei fondi europei legati al Pnrr in valore assoluto con 191,5 miliardi dei 750 complessivi stanziati.
Ma già stanno arrivando i primi intoppi di natura economica. Il ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, ha ammesso che molti cantieri pubblici stanno rimanendo fermi, in quanto l’esplosione dei costi delle materie prime impedisce alle ditte aggiudicatrici degli appalti di effettuare i lavori. In altre parole, serviranno più soldi. E poiché da Bruxelles semmai arriverà una sforbiciata e non certo un aumento delle risorse, questo implica il rischio che il Pnrr si riveli meno efficace di quanto stimato dal governo nel corso degli anni.
Ce ne sarebbe per fare tremare i polsi a qualsiasi governo, anche il più monolitico. Figuratevi quello sorretto da una maggioranza che va dalla Lega a Leu e che sembra avere quale unico obiettivo comune il rinvio della data delle prossime elezioni. Nell’estate scorsa, ad esempio, il decreto “Concorrenza” non contenne la liberalizzazione delle gare per gli stabilimenti balneari. Le resistenze interne lo impedirono, malgrado si tratti di uno dei provvedimenti pretesi dall’Europa e neppure tra i più importanti. Fiutando il rischio di una paralisi, il premier Mario Draghi ambisce vistosamente a trasferirsi al Colle, da dove potrebbe continuare ad esercitare i suoi “super” poteri senza metterci un dito. Ma la politica lo starebbe inchiodando alle sue responsabilità. E in astuzia, tra politici e tecnici la vittoria dei secondi non è mai così scontata.