Draghi è condannato a governare tra allarme spread e inflazione

Fallita la via di fuga verso il Quirinale, il premier Mario Draghi rischia di indebolirsi a causa dell'allarme spread e del carovita
3 anni fa
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Draghi tra allarme spread e inflazione

Avrebbe voluto farsi eleggere presidente della Repubblica, ma la sua stessa maggioranza glielo ha negato. Il premier Mario Draghi si ritrova a governare l’Italia nell’anno che ci condurrà alle elezioni politiche e che si annuncia per molti versi molto travagliato. Da quando è a Palazzo Chigi, di allarme spread non si parla più, come se i mercati finanziari avessero smesso di mettere nel mirino il debito pubblico italiano. Ed è stato sostanzialmente così fino a poche settimane fa. Invece, nelle ultime sedute il differenziale di rendimento tra i BTp e i Bund a 10 anni è salito fino a 150 punti base, il livello più alto da settembre 2020.

I rendimenti decennali italiani si sono portati sopra 1,70%, mai così alti dal maggio del 2020. In media, a gennaio si sono attestati allo 0,78% sul mercato secondario, il massimo da luglio 2020. In pratica, il costo del debito pubblico sta risalendo, pur restando bassissimo in termini nominali e, ancora di più, reali. La BCE ha segnalato di aprire alla possibilità di alzare i tassi d’interesse nel corso di quest’anno. La reazione dei mercati è stata immediata: borse giù e rendimenti su. E l’allarme spread è tornato a farsi sentire dopo un anno abbondante di assenza.

La causa di tutto sta nell’inflazione. Al 5,1% nell’Eurozona a gennaio, al 4,8% in Italia, pur se al 5,3% secondo l’indice armonizzato. La corsa dei prezzi si deve ai colli di bottiglia in fase di produzione, al boom delle materie prime trainato dalla maggiore crescita dei consumi rispetto all’offerta e all’abbondante liquidità disponibile. Tra stimoli monetari e fiscali, le banche centrali e i governi hanno iniettato migliaia di miliardi di dollari, a fronte di una produzione globale in calo. Non ci sarebbe stato bisogno di approfondire con un corso di economia per capire cosa sarebbe scaturito da tale situazione.

Allarme spread con il premier Draghi?

Adesso, la Federal Reserve sta guidando la ritirata delle banche centrali e la BCE inevitabilmente seguirà a ruota.

Dal canto loro, i governi continuano ad attuare politiche fiscali espansive, ma in misura assai inferiore. Anzi, il Nord Europa sta rientrando nei limiti del deficit massimo imposto dal Patto di stabilità, pur sospeso fino a tutto quest’anno. La normalizzazione monetaria e fiscale non sarà indolore. Draghi lo sa bene e forse anche per questo avrebbe optato per il Quirinale. Dal Colle, avrebbe potuto indirizzare la politica economica del governo senza sporcarsi direttamente le mani e metterci la faccia.

L’uomo che spense l’allarme spread con il “whatever i takes” rischia di subirne gli effetti con una BCE costretta alla stretta monetaria. Dalla sua, ha che Christine Lagarde non intende correre ad alzare i tassi e si mostra molto sensibile alla crescita. Contro c’è proprio quel Nord Europa indispettito e intimorito dall’alta inflazione. Finché la FED era rimasta espansiva, Francoforte aveva potuto permettersi di ignorare i numerosi segnali circa il surriscaldamento eccessivo dei prezzi al consumo. Adesso, la Banca d’Inghilterra ha già alzato i tassi due volte e la FED si accinge a farlo da marzo. Il destino dell’Eurotower è segnato, anche perché restare accomodanti mentre tutti gli altri vanno in direzione opposta implica il rischio di colpire il cambio e importare ancora più inflazione, con la conseguenza di rendere una futura stretta ben più dolorosa.

Draghi avrebbe voluto sottrarsi benissimo a questo scenario. Del resto, è stato l’unico grande banchiere centrale a non avere mai alzato i tassi. Di lui sappiamo che è stato molto competente e apprezzato nel tagliarli, ma non esiste una controprova per il caso opposto. Da capo del governo, scoprirà come ci senta ad avere le mani legate dall’altra parte del tavolo.

Dovrà prendere nota dei mutamenti di politica monetaria senza commentarli e non potendo incidervi direttamente. A 150 punti, non possiamo parlare ancora di allarme spread. Sopra i 200, sì. Anche perché la Spagna ha uno spread ancora a 80 punti, il Portogallo anche meno. Peggio di noi solo la Grecia a quota 180. “Super Mario” inizia a perdere poteri.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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