Aumenta il trattamento minimo di pensione nel 2022. Per effetto della perequazione, tutti i trattamenti previdenziali cambiano di anno in anno in base alla variazione dei dati sull’inflazione certificata dal Itsat.
Il nostro ordinamento pensionistico non prevede una pensione minima, ma una integrazione al trattamento minimo. Si tratta di un bonus che lo Stato riconosce ai pensionati che non raggiungono certo livello minimo vitale di pensione.
Integrazione al trattamento minimo di pensione
Non tutti hanno diritto alla integrazione al trattamento minimo sulla pensione, ma solo coloro che rispondono a determinati requisiti reddituali.
In base alle risultanze sulla variazione dei prezzi al consumo nel 2021, la pensione minima sale quest’anno del 1,9%. Vale a dire a euro 524,88 al mese per tredici mensilità. Un marcato salto in avanti rispetto agli anni passati durante i quali l’inflazione nulla o negativa aveva congelato gli aumenti.
Requisiti, importi, come fare domanda
L’integrazione al trattamento minimo di pensione non è automatico. Si ottiene a domanda dell’interessato qualora ve ne siano i presupposti. Quando un lavoratore va in pensione, in base ai calcoli preliminari di liquidazione, se l’assegno risulta inferiore a 524,88 euro al mese, può chiedere che l’ente pensionistico gli corrisponda la differenza.
Il diritto sorge solo se sono rispettati determinati limiti di reddito. Per il pensionato non coniugato tale limite è pari a 2 volte il trattamento minimo pensionistico (6.823,40 euro). Mentre per il pensionato coniugato, è necessario che il reddito complessivo non superi di 4 volte il trattamento minimo (13.646,82 euro) , fermo restando il limite di cui sopra per il beneficiario. I redditi da dichiarare nella domanda sono tutti quelli assoggettabili a Irpef e a tassazione separata.
Infine, non si ha diritto alla integrazione se non si sono versati contributi prima del 1996.