Alla fine di dicembre, il risparmio delle famiglie depositato in banca ammontava a 1.854,4 miliardi di euro, in crescita di 280 miliardi rispetto alla fine del 2020, poco prima che arrivasse la pandemia. Di fatto, il denaro liquido degli italiani ammonta a oltre il 100% del PIL. Un dato abbastanza interessante in un’economia, dove il debito pubblico vale più del 150% del PIL.
Pochi giorni fa, commentando le votazioni del Parlamento per eleggere il nuovo presidente della Repubblica, il direttore di Wall Street Italia, Leopoldo Gasbarro, rimarcava come nessuno degli ospiti politici in studio su Rete 4 alla trasmissione di Nicola Porro avvertisse il problema del debito.
Un’affermazione in sé apparentemente innocente, ma che svelerebbe il retro-pensiero di parte del mondo politico: i risparmi garantiscono il debito pubblico, cioè all’occorrenza lo finanziano con le buone o le cattive. Forse non era esattamente questa l’intenzione espressa dal sindaco di Ceppaloni. Qualcuno ha notato, però, che qualche mese prima era stato lo stesso presidente della Repubblica, il rieletto Sergio Mattarella, a dichiarare che “il risparmio delle famiglie potrà contribuire alla ripartenza”. Lo ha detto in occasione della Giornata Mondiale del Risparmio a ottobre. Anche queste parole appaiono piuttosto innocenti e senza secondi fini, tant’è che lo stesso capo dello stato citava l’art.47 della Costituzione, che tutela e incoraggia il risparmio.
Risparmio delle famiglie nel mirino?
Fatto sta che nelle stesse ore in cui Mattarella era insignito dal Parlamento di un secondo mandato, Giuliano Amato diventava presidente della Corte Costituzionale. Da premier, nel 1992 fu artefice del prelievo forzoso con cui mise le mani nei conti correnti. Lo stato si prese retroattivamente lo 0,6% dei saldi per risanare i conti pubblici, in barba alla Costituzione che vieta l’imposizione fiscale retroattiva.
La tentazione è trasversale alla politica. Nel 2018, Armando Siri della Lega lanciò senza successo i Conti individuali di risparmio (Cir) sulla falsariga dei PIR del governo Renzi di un paio di anni prima. Sarebbero stati piani d’investimento in titoli di stato esentasse, purché i cittadini li tenessero fino alla scadenza. Un incentivo fiscale per comprare BTp, insomma. La logica sottostante era la stessa: gli italiani hanno tanta liquidità libera e in un qualche modo bisogna dirigerla verso il finanziamento del debito pubblico. Fin qui, con le buone. E se in un futuro vicinissimo, magari su impulso dell’allarme spread, i politici arrivassero a pensare che il risparmio delle famiglie lasciato infruttifero sui conti bancari debba necessariamente essere impiegato per il “bene comune”?
In realtà, la ricchezza finanziaria degli italiani ammontava a 4.800 miliardi di euro a fine 2020. Tuttavia, gran parte di essa risulta investita in azioni, obbligazioni, assicurazioni e fondi, per cui non è facilmente aggredibile, non senza sconquassare i mercati. La parte più facile da stangare sarebbe quella per l’appunto liquida. Eppure, ciò avrebbe ripercussioni economiche spaventosamente negative per l’Italia. Il risparmio delle famiglie si metterebbe in fuga verso l’estero, la fiducia verso il sistema bancario e istituzionale colerebbe a picco e ne risentirebbero gli investimenti e la crescita economica. E poi per cosa? Anche immaginando per assurdo di colpire i conti bancari con un’imposta del 20%, fluirebbero nelle casse dello stato 360 miliardi, circa un quinto del PIL e meno di un settimo dell’attuale stock del debito.