Pensioni anticipate per scopi elettorali, e a pagare il conto sono i giovani

Pensioni concesse troppo allegramente in passato pesano ancor oggi sulla previdenza pubblica. Il conto lo pagano i giovani lavoratori.
3 anni fa
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Le pensioni anticipate sono state un disastro in passato. Usate a scopi elettorali, hanno creato un buco enorme nei conti previdenziali che pagheremo ancora per decenni. Con il lavoro e con rendite da fame.

Coinvolti maggiormente sono i giovani lavoratori di oggi. Quelli che quando furono fatte le riforme dagli anni 70 agli anni 90 non erano ancora nati. I loro genitori li hanno indebitati senza saperlo mandando al potere una classe politica ottusa e priva di lungimiranza.

Gli errori del passato che paghiamo oggi

A fare il punto di questa impietosa situazione che oggi lo Stato deve gestire è Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali e massimo esponente del settore.

Nel suo ultimo report sul Bilancio del Sistema Previdenziale Italiano, snocciola tutti i dati che mettono a nudo lo stato delle finanze pensionistiche.

In particolare Brambilla punta il dito contro le baby pensioni che ancor oggi dobbiamo sostenere, contro i pensionamenti anticipati a 50 anni o con soli 25 anni di lavoro. Il tutto calcolato col sistema retributivo, dove la carriera veniva fatta a spese dello Stato. Uno scempio.

Il risultato è che oggi ci sono ancora 476 mila pensionati che manteniamo da 45 anni con coperture contributive irrisorie. E oggi a pagare il conto sono tutti i lavoratori che devono attendere i 67 anni di età previsti dalla Fornero per coprire le mancanze. Domani, invece, saranno i giovani, i quarantenni attualmente al lavoro, costretti a lavorare fino a 70 anni.

La riforma delle pensioni anticipate

Brambilla spiega chiaramente che le pensioni anticipate sono state il male dell’Italia durante il secolo scorso. Ma anche oggi, benché non lo dica chiaramente, si intuisce che quota 100, piuttosto che Opzione Donna hanno contribuito ad appesantire il bilancio.

Affinché il sistema resti in equilibrio, è necessario un giusto rapporto tra il periodo della vita lavorativa e la durata della pensione.

La rendita pensionistica dovrebbe quindi avere una durata di massimo 20-25 anni dopo il lavoro.

Oltre il sistema va fuori giri. Come anche ravvisato dall’Inps che anticipa un rosso di 15 miliardi per il 2021.

Per evitare eccessive durate o scarsi periodi di vita attiva che penalizzerebbero i lavoratori di oggi, è necessario limitare al massimo le pensioni anticipate. Oggi andare in pensione a 67 è forse eccessivo, ma concedere la rendita a 58-59 è oltremodo sbagliato. Se non si aggancia l’età di pensione alla speranza di vita, i rischi sono quelli che emergono da durate eccessive di pensioni. Oltre che da assegni sempre più bassi.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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