Cosa mai potrebbe andare storto dopo due anni di pandemia e una guerra scoppiata nel cuore d’Europa? Che la pandemia ritorni a farci visita. Ieri, le autorità sanitarie cinesi hanno imposto un nuovo lockdown di una settimana nella metropoli di Shenzen, dove vivono 17,5 milioni di persone. I residenti saranno sottoposti a tre screening di massa. La misura è stata decisa dopo che nella giornata di domenica si erano registrati 66 nuovi casi. In tutta la Cina, +2.142, il dato più alto da febbraio 2020.
La politica di Pechino sul Covid è categorica: “casi zero”. E così, adesso il distretto tecnologico sito nell’area meridionale della Cina è nuovamente chiuso. Le multinazionali stanno sospendendo la produzione, un fatto che aggrava i colli di bottiglia che stiamo avendo da almeno un anno a questa parte. Peraltro, Shenzen ospita il terzo porto più grande al mondo per volumi di merce trasportata: 28,77 milioni di TAU nel 2021.
Per la stessa economia cinese sarà un bel problema, tant’è che Morgan Stanley adesso stima che il PIL nel primo trimestre sarebbe rimasto invariato, mentre nell’intero anno dovrebbe crescere del 5,1%, rivisto in calo dal precedente +5,3%. La Borsa di Shanghai perde oltre l’11% quest’anno, quella di Shenzen quasi il 18,5%. Il credito all’economia reale subisce una forte contrazione: -70% a febbraio rispetto a gennaio. La Banca Popolare Cinese ha tagliato il coefficiente di riserve obbligatoria per le grandi banche, così come il tasso d’interesse nel tentativo di sostenere la liquidità.
Shenzen ferma, cresce rischio stagflazione
Complice molto probabilmente il “congelamento” delle riserve valutarie russe da parte dell’Occidente, nel mese di febbraio gli investitori stranieri hanno venduto bond cinesi per 35 miliardi di yuan netti, circa 7 miliardi di euro. Si stima che la Banca di Russia detenga il 13% dei suoi 643 miliardi di dollari delle riserve in valuta cinese e magari avrà vendutone una parte per reagire alle sanzioni e non restare a corto di cash.
Nel primo trimestre, la variazione del PIL nell’Eurozona potrebbe diventare negativa. La guerra ucraina ha fatto esplodere ulteriormente i già altissimi prezzi delle materie prime, alimentando l’alta inflazione. Nello stesso tempo, la produzione di beni e servizi sta contraendosi per l’aumento dei costi energetici e di numerosi fattori importati dall’estero. E con la pandemia, le consegne da tempo subiscono notevoli ritardi, a fronte di una domanda ripresasi con la fine dei lockdown. I colli di bottiglia, ossia le strozzature dell’offerta, non faranno che aumentare con la chiusura di Shenzen. A rischio vi sono, in particolare, le consegne di prodotti di elettronica di consumo.
A questo punto, l’Europa non può più permettersi che la guerra ucraina si protragga per troppo tempo. L’incertezza divorerà la fiducia residua tra consumatori e imprese e sui mercati finanziari non è sostenibile oltremodo. Peraltro, stiamo ragionando ormai come se la pandemia fosse finita, anche se le curve nei vari stati suggeriscono che i contagi stanno riprendendo a salire, sebbene il numero dei morti stia o stabilizzandosi o continuando a scendere. L’arrivo della primavera dovrebbe migliorare la condizione sanitaria, ma lo spettro di nuove restrizioni entro la fine dell’anno non è del tutto scomparso dai radar.