Si stringono i tempi per la riforma pensioni. Una bozza di quello che si dovrà fare dal 2023 sarà inserita nel Documento di Economia e Finanza (Def) entro fine mese, ma già si intuisce qualcosa.
Nessuna novità particolare se non quella di proseguire su quanto già tracciato dal governo Draghi lo scorso anno. Il pratica, la tendenza a ridurre il più possibile le uscite anticipate riportando tutti al rispetto dei requisiti ordinari previsti dalla riforma Fornero.
Pensioni anticipate a un bivio
Partendo dal fatto che le pensioni anticipate hanno un costo non più sostenibile in futuro, resta da valutare come mantenerle.
Cioè, applicare anche ai lavoratori a cui spetterebbe una pensione calcolata con il sistema misto la legge Fornero che già prevede la pensione a 64 anni per i contributivi puri. Si tratterebbe in pratica di concedere l’uscita in anticipo di 3 anni (rispetto ai 67 della vecchiaia) a patto che il lavoratore rinunci a quella parte di pensione liquidata col sistema di calcolo retributivo.
In altre parole – come sottolinea la stessa Elsa Fornero, consigliere economico del premier Draghi – chi vuole uscire prima dal lavoro e ottenere la rendita pubblica deve pagare qualcosa. Un taglio all’assegno commisurato agli anni di anticipo della pensione.
Uscita a 64 anni per tutti
Sul tavolo della riforma pensioni c’è proprio questo nodo da sciogliere che vede oltretutto i sindacati opporsi con fermezza. Per loro a 62 anni si potrebbe già andare in pensione, come avvenuto fino al 2021 con quota 100. In alternativa con 41 anni di contributi.
Ma il punto sono i conti che non quadrano. Il periodo congiunturale caratterizzato da un aumento della spesa pensionistica e dall’irreversibile calo delle natalità non permette ampi margini di manovra allo Stato.
Insomma, non si possono più finanziare pensioni a debito e ogni uscita anticipata, dovrà necessariamente comportare dei sacrifici.