La conferenza stampa del premier Mario Draghi di questo mercoledì non è stata all’altezza del personaggio. Eravamo abituati ad ascoltare i suoi discorsi da governatore della BCE con ammirazione per la sua capacità di tenere i nervi saldi anche nei momenti più difficili. I suoi primi passi da capo del governo italiano sono stati compiuti all’insegna del pragmatismo e della concretezza. Ha ispirato fiducia sui vaccini, sulla capacità di ripresa dell’economia italiana. Ma il suo discorso sui costi della guerra di questa settimana è stato – ammettiamolo – a tratti imbarazzante.
Esso si può riassumere con la battuta infelice e al tempo stesso tragicomica e “populista” (sì, proprio lui che sarebbe l’immagine della competenza e del parlare asciutto) “preferiamo la pace o il condizionatore acceso“. Draghi l’ha pronunciata a proposito del rischio che l’Unione Europea imponga l’embargo anche sul gas russo. Se lo farà, ha spiegato, “saremo felici di seguirla”. Ha aggiunto che la situazione resta in evoluzione.
Per Draghi, i problemi espressi da famiglie e imprese italiane sarebbero tutti riconducibili a un capriccio, insomma. A suo dire, potremmo raggiungere la pace rinunciando a qualche consumo secondario. E in conferenza stampa ha peggiorato il suo concetto, quando ha spiegato che produrre in Italia non sia più costoso che altrove, che spesso avremmo un’immagine negativa di noi stessi e che la realtà sarebbe diversa. Sindrome da Palazzo Chigi? Colpisce generalmente chiunque vi entri dopo un certo periodo di tempo. Sarà per questo che i suoi inquilini vi escano molto in fretta, stando agli standard internazionali.
La fuga dalla realtà di Draghi
La battuta su “pace o condizionatore acceso” supera di gran lunga quella sui “ristoranti pieni” di berlusconiana memoria. Dura entrare a fare parte del podio, per il quale lottano fino ad oggi “bamboccioni”, “choosy” e “meglio non averli tra i piedi (i giovani italiani costretti a lavorare all’estero, ndr)”.
Altra cosa sarebbe stato dire “signori, poiché la pace è un bene supremo e dobbiamo far di tutto per raggiungerla, saremo costretti a compiere sacrifici. Saranno duri, colpiranno i redditi, la produzione, l’economia italiana entrerà finanche in recessione, ma lo avremo fatto per qualcosa di superiore”. Condivisibile o meno che fosse, quel discorso sarebbe stato da Draghi, in quanto intellettualmente onesto e frutto di consapevolezza dei problemi. Invece, no. Il premier ha scelto la via facile della battuta insensata, ha umiliato famiglie e imprese, preoccupate e in affanno dopo già un biennio difficile all’insegna di restrizioni e redditi in calo per la pandemia.
Fa parte della fiction, poi, pretendere di risolvere tali difficoltà con un margine di manovra pari allo 0,2% del PIL, qualcosa come neppure 4 miliardi di euro. Questo è ad oggi l’importo disponibile, al netto dei 5,5 miliardi già stanziati contro il caro bollette. Verosimile che Draghi alla fine cederà e sarà costretto, suo malgrado, a fare più deficit del previsto. Ma risulta inaccettabile questa fuga dalla realtà, non dissimile da quella di chi due anni fa ci rassicurava che nessuno avrebbe perso il posto di lavoro e che avrebbe risolto i problemi con 7 miliardi di euro. Il deficit esplose di 100 miliardi solo nei mesi seguenti.