Si torna a discutere di bonus pensione. La riforma pensioni è uno dei temi più discussi e urgenti inseriti in agenda dal nuovo governo Meloni. L’obiettivo principale, ad oggi, rimane evitare il ritorno alla Legge Fornero nel 2023, ma con interventi e soluzioni che non pesino troppo sul bilancio (e che non allarmino troppo Bruxelles). Le proposte al vaglio, al momento, sono diverse.
Tra le ultime, ad esempio, anche l’eventualità di introdurre dei veri e propri “bonus pensione” per chi decide di continuare a lavorare al compimento dei 63 anni.
Bonus pensione al compimento dei 63 anni: la proposta
Il vero nodo da sciogliere, in ambito pensioni, rimangono le uscite dal lavoro anticipate. Il sistema previdenziale italiano è una delle voci di bilancio che più pesa sull’Erario, per questo motivo la vera sfida (da diversi anni in realtà) rimane sempre quella di assicurare le giuste tutele ai contribuenti, senza tuttavia gravare ancora di più sulla spesa pubblica.
Da qui, l’idea di alcuni tecnici: una riforma delle pensioni che estenda l’anticipo a diverse categorie ora escluse e il riconoscimento di bonus ad hoc per chi invece decide di continuare a lavorare dopo i 63 anni. Si tratta di agevolazioni che verrebbero assegnati sotto forma di sgravi contributivi e sconti fiscali ai diretti interessati, che in cambio dovranno accettare di proseguire l’attività professionale (probabilmente fino al momento della pensione di vecchiaia).
Al momento, però, sono tutte ipotesi. Nulla di definitivo al riguardo è stato ancora deciso.
Pensione anticipata: le ipotesi al vaglio del Governo Meloni
Sempre per quanto riguarda invece le pensioni anticipate, tra le proposte avanzate e attualmente valutate dagli organi di governo, quelle a cui sembrano stiano dando maggiore credito siano due:
- l’estensione di Opzione Donna agli uomini (cd. Opzione Uomo);
- l’approvazione di una Quota 41.
Nel primo caso, si tratta di riconoscere agli uomini la pensione anticipata al raggiungimento di:
- un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni;
- un’età anagrafica pari o superiore a 58 anni (se dipendenti) e a 59 anni (se autonomi).
Quota 41, invece, prevede l’uscita dal lavoro al raggiungimento di un’anzianità contributiva pari – appunto – a 41 anni (a prescindere dall’età anagrafica).
Senza bonus pensione, ecco cosa prevede il ritorno alla Legge Fornero
Qualora il governo non dovesse trovare un accordo sulla riforma pensionistica, il sistema – come abbiamo già detto – prevede il ritorno alla vecchia Legge Fornero.
Con l’entrata in vigore dell’art. 24 del D.lgs. 201/2011, convertito con modificazioni, dalla Legge 214/2011 (c.d. Legge Fornero) il legislatore ha varato un’importante riforma del sistema pensionistico italiano, che ha previsto l’innalzamento dei requisiti per l’accesso alla pensione. Sono state quindi introdotte norme di salvaguardia a tutela di talune tipologie di lavoratori in situazione di necessità, nei confronti dei quali il repentino innalzamento dei requisiti pensionistici avrebbe comportato il venir meno sia della retribuzione che della pensione.
Il beneficio consiste nell’applicazione, in materia di accesso e decorrenza del trattamento pensionistico e nei limiti delle risorse stabilite nelle diverse operazioni di tutela, delle disposizioni antecedenti alla riforma, in favore dei soggetti che, ancorché maturino i requisiti per l’accesso al pensionamento successivamente al 31 dicembre 2011, appartengano ad una delle categorie di lavoratori tassativamente indicate dal legislatore.
Come ribadito da ANIEF, associazione sindacale professionale:
“Senza un intervento in extremis del prossimo Governo, dal 1° gennaio 2023 la Legge Fornero tornerà pienamente in vigore. Venuta meno anche Quota 102, il risultato è che l’anno prossimo si potrà andare in pensione a 67 anni di età ed almeno 20 anni di contributi oppure dopo 42 anni e dieci mesi di contribuzione (un anno in meno per le donne). Gli unici a potere anticipare i tempi di uscita dal lavoro saranno i dipendenti appartenenti a determinate categorie professionali, ritenute particolarmente stressanti: all’interno di questo novero, occorre includere tutti i lavoratori della scuola e non solo i docenti maestri a contatto con gli alunni più piccoli, già comunque giustamente considerati”.