A Cuba fare la fila per la spesa è un’abitudine consolidata in oltre sessanta anni di regime comunista. Tuttavia, in questi ultimi mesi la situazione è degenerata a livelli di sopportazione ormai impossibili. Servono anche sei ore per entrare al supermercato, salvo in molti casi uscirne a mani vuote. Manca di tutto sugli scaffali e il governo del presidente Miguel Diaz-Canel non ha trovato di meglio che imporre una tassa del 10% sulle vendite di cibo. L’obiettivo è di colpire i profitti dei commercianti e delle piccole e medie imprese, dopo che per la prima volta dall’agosto scorso hanno ottenuto l’autorizzazione a vendere generi alimentari.
In realtà, l’economista Pedro Monreal sostiene giustamente che la stangata finirà per aumentare i prezzi e le disuguaglianze sociali, già in fortissima crescita entrambi. Secondo i dati ufficiali, l’inflazione nel 2021 è stata del 70%, ma l’Economist Intelligence Unit la stima al 740%. Peraltro, un modo per sottostimare le variazioni dei prezzi sarebbe di utilizzare un paniere poco rappresentativo delle abitudini di consumo dei cubani, con svariati prodotti inseriti oltre un decennio fa e ormai in disuso.
La riforma monetaria di Cuba
All’inizio del 2021, la riforma monetaria voluta dal governo castrista eliminò dalla circolazione il CUC o peso convertibile, lasciando solamente il CUP o peso cubano. Quest’ultimo fu fissato a un tasso di cambio di 24 contro 1 dollaro. Il rapporto tra CUC e dollaro era di 1:1, così come tra CUC e CUP. Ne scaturì una maxi-svalutazione del cambio del 96%. Senonché sul mercato nero, oggi un dollaro è scambiato contro più di 100 CUP. Dunque, la svalutazione reale è più che quadrupla di quella ufficiale.
Disponendo di poca valuta estera, la banca centrale si è trovata costretta a limitare le importazioni, con la conseguenza che i beni anche di prima necessità sull’isola scarseggiano. E la carenza di offerta ha fatto esplodere i prezzi.
Disparità tra chi ha dollari e no
Tuttavia, accedere alla valuta estera è molto difficile per i cubani. A meno di non lavorare in un settore in contatto con l’estero, come il turismo, l’unico modo per entrare in possesso di dollari, euro, etc., sarebbe di rivolgersi al mercato nero. Molti, però, stanno recandosi all’estero per comprare beni da rivendere a Cuba una volta tornati. Non essendo più necessario il visto per l’espatrio, decine di migliaia di cubani stanno prendendo il volo per stati come il Nicaragua, Panama e il Messico. Considerate che solamente nell’ultimo trimestre dello scorso anno, 20.476 cubani sono arrivati negli USA tramite il Messico o altre rotte illegali. A dicembre, poi, è stato il record di sempre.
Poiché un biglietto aereo costa anche 1.000-1.500 dollari, per non parlare del denaro da pagare ai trafficanti di migranti, a quello per acquistare beni e per non restare a mani vuote, praticamente prima di partire i cubani stanno facendo incetta di dollari sul mercato nero. Questo fenomeno starebbe contribuendo in misura determinante a far implodere il tasso di cambio non ufficiale. Molti cubani sono convinti che questo salirà fino a 150 CUP per 1 dollaro, così come negli anni Novanta, quando il collasso dell’Unione Sovietica qui provocò la fame, tant’è che molti arrivarono a mangiare cani e gatti.
Ai tassi attuali, in pochi stanno volendo rivendere i dollari contro i CUP, aspettandosi un ulteriore deprezzamento di questi ultimi. La situazione è divenuta drammatica. Chi ha la fortuna di possedere dollari, riesce a mangiare più decorosamente; tutti gli altri, no.