I 407 uffici di Western Union a Cuba hanno chiuso, a seguito dell’entrata in vigore delle recenti sanzioni imposte dall’amministrazione americana contro le rimesse dagli USA attraverso agenzie controllate dai militari del regime comunista. E Western Union operava sull’isola in partnership con Fincimex, a sua volta legata alla società della difesa cubana Gaesa. L’Avana non ha autorizzato la gestione delle rimesse senza l’intermediazione di un’agenzia locale slegata dal controllo dei militari e per il 60% dei cubani che dipende dall’invio di denaro dai familiari all’estero, questo sembra l’inizio di un incubo.
Si stima che nel paese fluiscano annualmente 3,6 miliardi di dollari, terza fonte di ingresso di dollari dopo l’industria dei servizi e il turismo. Di questi, oltre un miliardo viene mediato da Western Union. L’ultimo atto dell’amministrazione Trump nei confronti di Cuba prima delle elezioni di inizio novembre è stato il completamento della politica della “massima pressione” sul regime come ritorsione per la collaborazione con il regime “chavista” del Venezuela. In precedenza, aveva imposto un tetto di 1.000 dollari a persona e a trimestre per l’invio dal territorio americano di rimesse verso l’isola. Nel 2018, aveva vietato alle navi da crociera di sostare a Cuba, facendo perdere a quest’ultima circa 800 mila turisti all’anno, un quinto del totale. Lo stesso turismo americano è stato nuovamente sottoposto a embargo dopo la liberalizzazione che era avvenuta nel 2016 sotto l’amministrazione Obama.
L’Avana sostiene che le sanzioni contro le rimesse agevolino la ricerca di alternative meno sicure, tra cui la spedizione di denaro attraverso terze persone. Ad ogni modo, il presidente Miguel Diaz-Canel ha invitato nei giorni scorsi i dirigenti del partito e gli esponenti del governo a varare riforme economiche per evitare che il malcontento popolare li travolga. L’emergenza Covid sta provocando la più grave crisi degli ultimi decenni, con il PIL atteso in caduta dell’8% quest’anno.
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Riforme necessarie, ma dolorose
Tra le riforme annunciate, vi è la fine della doppia moneta. Sull’isola esiste il peso cubano e il peso convertibile. Il secondo viene scambiato contro il primo a 1:25, mentre tra le imprese lo scambio è 1:1. Questo meccanismo distorsivo favorisce le importazioni e tiene basse le esportazioni. A luglio, poi, è stato annunciato che alle imprese private verrà consentito accedere direttamente ai conti in valuta estera per l’import/export senza passare per le agenzie statali. Consentita, infine, l’apertura di negozi che accettano in pagamento solo pesos convertibili.
Queste riforme non possono che essere l’inizio di una serie di misure che servono all’economia cubana per tornare a crescere, attraverso l’aumento della produttività. Il sistema basato sulla pianificazione dello stato non funziona, è un fallimento e, però, la transizione verso una maggiore forza del mercato darà i suoi frutti nel medio-lungo periodo. Nel frattempo, richiede sacrifici, come il licenziamento dei lavoratori in eccesso presso le imprese statali che operano in perdita. Ma in un clima come questo, con cibo e medicinali che scarseggiano per le esigue entrate di dollari con cui importarli, tutto diventa più difficile.
Adesso, L’Avana guarda con speranza al presidente-eletto Joe Biden, il quale ha promesso in campagna elettorale di ritirare alcune delle sanzioni imposte da Donald Trump. Sarà, ma ammesso che lo facesse dal primo giorno del suo mandato, ci vorrebbero mesi e un probabile conflitto con il Congresso per mantenere la parola.
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