A 62 anni dalla “Revolucion”, il CUP o peso cubano è stato svalutato per la prima volta. A partire dallo scorso 1 gennaio, il regime comunista guidato dal presidente Miguel Diaz-Canel ha semplificato il sistema dei cambi dell’isola, eliminando il CUC o peso convertibile. A partire da quest’anno, un dollaro può essere scambiato contro 24 CUP, ma la banca centrale ha annunciato che pubblicherà quotidianamente i tassi di cambio, evidentemente lasciando intendere che questi non siano necessariamente fissi, ma in una certa misura fluttuanti.
Per capire la portata della riforma, di cui si discuteva sin dal 2013 e più volte rinviata per le sue potenziali grosse conseguenze negative per la popolazione, dobbiamo spiegare il sistema dei cambi vigenti fino a pochi giorni fa. Era il 1959 e Fidel Castro riesce a rovesciare il regime di Fulgencio Batista, instaurando sull’isola una dittatura di stampo comunista e filo-sovietica. A capo della banca centrale venne nominato il rivoluzionario Ernesto “Che” Guevara, che emette il peso cubano o CUP, firmandone le prime banconote. Dopo il collasso dei regimi comunisti nell’Europa dell’Est, L’Avana rimane senza sostegni finanziari da parte di Mosca e sin dal 1993 consente ai cubani di usare il dollaro per gli scambi anche interni. Poiché la valuta americana stava prendendo troppo piede, nel 1994 viene istituito il CUC o peso convertibile contro il dollaro a un tasso di 1:1. Il CUC, in vigore fino al 31 dicembre scorso e che resterà scambiabile presso la banca centrale fino al 30 giugno prossimo, non era direttamente accessibile a tutta la popolazione, bensì al solo settore privato, specie quello legato all’economia turistico-alberghiera e alle esportazioni.
Un CUC poteva essere acquistato dalla popolazione contro 24 CUP e venduto per 25. Allo stesso tempo, era stata fissata una parità di 1:1 per le imprese statali.
La paura dei cubani
Le vittime di questa unificazione monetaria sono già coloro che subiranno gli effetti della maxi-svalutazione del cambio. Per questo, il governo ha contestualmente provveduto a quintuplicare stipendi pubblici, pensioni e sussidi. Alle imprese statali, che non beneficeranno più dell’accesso ai dollari a prezzi di favore, verranno erogati aiuti per 18,3 miliardi di CUP o circa 625 milioni di euro.
Il timore è che questo passaggio inevitabilmente provochi l’esplosione dei prezzi al consumo, cioè inflazione incontrollata. Un fenomeno che il Venezuela di Nicolas Maduro, stretto alleato di Cuba, conosce da anni per via proprio della svalutazione del cambio, prima avvenuta sul mercato nero e successivamente adottata dallo stesso regime “chavista”, arresosi alla realtà. Ma la riforma risulta necessaria per eliminare le evidenti distorsioni interne e sostenere i tassi di crescita dell’economia cubana, da anni in stagnazione. La popolazione non sta accogliendo serenamente la misura storica, temendo di perdere potere di acquisto. Il problema è che il cambio di 1 dollaro contro 24 CUP risulterebbe persino troppo forte. Sul mercato nero, si registrerebbe un tasso di 1:50. In altre parole, la maxi-svalutazione ufficiale di questi giorni potrebbe rivelarsi insufficiente per adeguare il cambio ai fondamentali macro dell’isola.
La fame di dollari contribuisce alla crisi valutaria. Nel 2020, L’Avana ha posto fine al divieto di utilizzare la divisa americana, introdotto nel 2004, tra l’altro eliminando la tassa del 10% sulle transazioni in dollari e aprendo negozi che accettano proprio dollari come mezzo di pagamento.
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