Il 2023 vedrà salire l’importo delle pensioni minime, al netto della rivalutazione legata al tasso d’inflazione. Sappiamo che tutti gli assegni fino a quattro volte il trattamento minimo saranno aumentati del 7,3%. Questo è il tasso d’inflazione atteso dal governo per l’anno che sta finendo. Sopra i circa 2.100 euro lordi al mese, gli aumenti diminuiranno fino a scendere al 35% dell’inflazione per gli assegni pari o superiori a nove volte il trattamento minimo. Quest’ultimo salirà dell’8,8%, cioè per 1,2 volte l’inflazione.
E per il 2024? Le pensioni minime subiranno un nuovo aumento reale, vale a dire al netto dell’inflazione. Per l’esattezza, del 2,7%. Facciamo l’ipotesi inverosimile che l’inflazione l’anno prossimo sarà zero. In quel caso, l’aumento sarà del 2,7% e si calcolerà sull’importo erogato nel 2023 al netto dell’1,5% di aumento extra. In altre parole, su un assegno di 563,73 euro. Questo sarà l’importo che consegue alla rivalutazione delle pensioni minime per il solo effetto dell’inflazione di quest’anno.
Dunque, il 2,7% di 563,73 euro fa 15,22 euro. A quel punto, l’assegno salirà a 578,95 euro. Ma poiché ci sarà certamente anche l’inflazione da sommare, probabile che l’importo nel 2024 finisca per essere sui 600 euro. Tenendo presente l’inflazione programmata al 4,3% dal governo, per le modalità di calcolo sopra citate dovremmo aggiungere altri circa 24 euro. La cifra finale si attesterebbe a più di 603 euro per tredici mensilità.
Pensioni minime a 600 euro, chiede Forza Italia
In soli due anni, quindi, le pensioni minime risulterebbero aumentate di circa 78 euro, cioè del 15%. L’aumento reale però, cioè superiore al tasso d’inflazione, sarà stato sui 23 euro, pari al 4,4%. Forza Italia sta spingendo dentro la maggioranza per aumentare gli assegni già da gennaio a 600 euro. Il governo non è disponibile per carenza di risorse.
Se attuata, questa misura oggi come oggi costerebbe sui 75 euro al mese per ogni titolare di pensione minima. Farebbero 975 euro per tredici mensilità all’anno, pari a un costo a carico dell’INPS di oltre 2 miliardi, tenendo conto solo dei titolari di pensioni minime. Ci sarebbero da rivalutare, poi, gli assegni di coloro che ad oggi percepiscono tra l’importo minimo e la soglia dei 600 euro. Insomma, un onere insostenibile, che sta creando qualche tensione nel centro-destra, ma che con buona pace dei proponenti dovrà essere rinviato a periodi migliori.
Oltretutto, il taglio della rivalutazione delle pensioni per gli importi medio-alti e alti sta facendo discutere. I percettori sostengono, non senza ragioni in alcuni casi, di avere versato i contributi per beneficiare di tali assegni più ricchi. Così facendo, essi sarebbero penalizzati, mentre sarebbero avvantaggiati coloro che o hanno lavorato in nero o non hanno, comunque, versato contributi all’INPS. Anche questo spiega la prudenza dell’esecutivo. Non si possono inviare messaggi sbagliati ai lavoratori. Alzare troppo le pensioni minime può portare molti a credere che versare i contributi sia inutile, dato che lo stato garantirebbe in ogni caso assegni congrui per vivere.