Abolire le fondazioni per ridurre il debito e pagare un “dividendo di cittadinanza”

Il “caso Monte dei Paschi” sta riaccendendo il dibattito sul ruolo delle fondazioni bancarie (e non). E c’è chi propone di abolirle per abbattere il debito pubblico di 350 miliardi e versare agli italiani un “dividendo di cittadinanza”.
12 anni fa
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Istituite con la legge n. 218 del 30 luglio 1990 (“legge Amato”), le fondazioni bancarie sono associazioni non-profit nate come espediente tecnico per privatizzare le banche pubbliche e le Casse di Risparmio. Il loro obiettivo è quello di investire in una molteplicità di settori, dalle attività benefiche a sostegno delle comunità locali a quelle culturali e ludiche. Ma con l’aggravarsi della crisi iniziata nel 2008 è emersa anche un’altra verità: le fondazioni bancarie non hanno mai cessato di occuparsi delle attività bancarie. Alcune fondazioni, anziché sostenere progetti a favore della cittadinanza e fuoriuscire dal capitale delle banche, hanno preferito impiegare le proprie risorse per ricapitalizzare le controllate, indebitandosi.

Esemplari sono i casi della Fondazione Monte Paschi, che ha partecipato all’aumento di capitale di Mps, e della fondazione Banco di Sicilia, che ha perso quasi un terzo del suo valore in seguito alla concentrazione in Unicredit della sua dotazione.  

LE FONDAZIONI BANCARIE E QUEI 50 MILIARDI SUI QUALI LO STATO NON PUÒ ESERCITARE ALCUN CONTROLLO

Secondo un recente dossier di Mediobanca, delle 88 fondazioni presenti sul territorio italiano, ben 22 detengono l’80% di un patrimonio stimato in 50 miliardi di euro sul quale lo Stato non può esercitare alcun controllo. Questo perché la legge n. 201 del 22 dicembre 2008 stabilisce che “non rientrano negli elenchi degli organismi e delle categorie di organismi di diritto pubblico gli enti di cui al decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, e gli enti trasformati in associazioni o in fondazioni, sotto la condizione di non usufruire di finanziamenti pubblici o altri ausili pubblici di carattere finanziario, di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e di cui al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, fatte salve le misure di pubblicità sugli appalti di lavori, servizi e forniture”.  

LA PROPOSTA VENANZI: USARE I PATRIMONI DELLE FONDAZIONI BANCARIE PER RIDURRE IL DEBITO DI 50 MLD OPPURE PER FINANZIARE UN “DIVIDENDO DI CITTADINANZA”

Diversi addetti ai lavori, come Riccardo Calimani della Fondazione di Venezia e Francesco Venanzi del Gruppo Eni, e rinomati economisti – tra cui Tito Boeri e Luigi Guiso – ritengono superato il business model delle fondazioni bancarie.

  Questi propongono di trasformarle in S.p.A. e di assegnare i pacchetti azionari al Ministero del Tesoro, che poi gradualmente dismetterebbe le quote, realizzando valori nell’ordine di 50-70 miliardi di euro. Secondo Francesco Venanzi, questa somma potrebbe essere acquisita al patrimonio dello Stato in funzione “taglia debito” oppure ridistribuita sotto forma di “dividendo di cittadinanza” a tutti gli italiani in regola con il fisco. «L’assegnazione delle azioni bancarie alle famiglie – spiega il manager di Eni – sarebbe un premio a chi le costituisce (le famiglie) e metterebbe in fuori gioco i grandi trust, i fondi pensione e tutti gli speculatori che stanno trasformando questo inizio di secolo in un incubo».  

GIANPIERO SAMORÌ: ABOLIRE TUTTE LE FONDAZIONI (BANCARIE E NON) PER RIDURRE IL DEBITO DI ALMENO 350 MILIARDI

«L’Italia è una nazione ricchissima di fondazioni che hanno patrimoni enormi di centinaia e centinaia di miliardi. Si potrebbe attingere a questo importante bacino per ridurre il debito pubblico». È quanto propone l’avvocato Gianpiero Samorì in materia di fondazioni e risanamento delle finanze pubbliche. Secondo il banchiere modenese, è possibile raccogliere almeno 350 miliardi di euro dalla nazionalizzazione di tutte le fondazioni (bancarie e non). «In questo momento straordinario – osserva Samorì – questi patrimoni devono essere acquisiti al patrimonio dello Stato in funzione di riduzione del debito, perché sono comunque patrimoni della collettività e non di un singolo privato».

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