Scontro duro tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio sul reato di abuso d’ufficio. Il vicepremier leghista ha proposto nei giorni scorsi di abrogarlo, sentendosi rispondere picche dall’alleato grillino. Una bomba pre-elettorale, che il governo ha cercato di disinnescare, trattandosi di un tema sensibilissimo per il Movimento 5 Stelle, da sempre per la linea dura sulla giustizia. Ma cos’è il reato di abuso d’ufficio? L’art.323 del Codice Penale recita quanto segue:
“Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità”.
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Abuso d’ufficio e paralisi amministrativa
Se ne deduce che si commette tale reato, quando un pubblico ufficiale viola una norma, a vantaggio proprio o di terzi. Sembrerebbe chiarissimo, ma così non è. Tanto che i giudici negli ultimi anni tendono persino a disapplicare il suddetto articolo, a meno che non ci trovi dinnanzi a fattispecie più gravi, come i reati di corruzione o concussione. Perché abrogarlo e da cosa nasce la difficoltà di applicazione della norma? Immaginiamo che un funzionario aggiudichi una gara di appalto a suo cognato, pur dovendosi in teoria astenere dal compito, trattandosi di un congiunto e, quindi, prefigurandosi il conflitto d’interesse. Supponiamo, però, che l’aggiudicazione consenta al comune di risparmiare 30.000 euro, visto che la seconda offerta migliore fosse di 100.000 euro, anziché i 70.000 richiesti dal vincitore della gara per asfaltare un tratto di strada.
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Domanda: vi è stato un danno all’ente? No, anzi questi ha beneficiato di un’offerta più bassa. Eppure, il funzionario andrebbe formalmente indagato e condannato per abuso d’ufficio e la gara annullata. Ha senso tutto questo? La risposta è opinabile, ma il senso diffuso tra gli amministratori, così come sempre più tra i cittadini, è che tali norme non solo non contrastino la corruzione, semmai finiscano per rendere manichee le procedure e per paralizzare l’azione amministrativa. Se un sindaco o chi per lui, infatti, volesse rispettare alla lettera il groviglio infinito di leggi e leggine che regolano la vita pubblica, dovrebbe scegliere tra: rinunciare al sonno per studiare le virgole e farsi coprire dai pareri legali o rinunciare ad agire.
Troppo potere ai burocrati fa male
Per essere spiccioli, ma chiari: il timore di incappare nel reato di abuso d’ufficio costringe sindaci e governatori in Italia a prendersi molto più tempo del necessario per svolgere il lavoro per cui vengono pagati (e spesso, profumatamente) dai contribuenti; così, diventa un’odissea anche coprire una semplice buca del manto stradale, con la conseguenza che i cittadini sono sempre più frustrati dalla scarsa qualità dell’azione amministrativa e dall’assenza di risposte tempestive ai loro problemi, non per questo la politica e la burocrazia sono diventate più oneste e, soprattutto, l’economia italiana subisce un rallentamento anche per effetto della paralisi amministrativa, che blocca gli uffici e li tiene alla larga dagli investimenti, deprimendo il pil.
Soprattutto, dovremmo smetterla di pensare che sia un numero infinito, e spesso contraddittorio, di leggi a battere la corruzione. Al contrario, più leghiamo le mani ai responsabili dell’azione politica e più aumentiamo il potere degli apparati burocratici, i quali: a) non rispondono ai cittadini-elettori-contribuenti; b) agiscono perlopiù nell’ombra, a differenza degli amministratori locali; c) dispongono di maggiori margini per influenzare i processi decisionali a loro beneficio e a discapito dell’interesse pubblico.
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