Il 19 maggio scorso, l’Emirato di Abu Dhabi aveva riaperto l’emissione di aprile, il cui bond suddiviso in tre tranche attrasse ordini per 6,3 volte superiori ai 7 miliardi di dollari offerti. E anche stavolta è stato un grande successo, perché a fronte dei 3 miliardi collocati, la domanda è risultata di 7 volte più alta, esitando rendimenti relativamente bassi, pur appetibili per gli investitori stranieri, i quali non a caso hanno inciso per il 98% delle richieste. La riapertura ha riguardato obbligazioni a 5, 10 e 30 anni.
Le tre tranche hanno esitato rendimenti rispettivamente a +135, +150 e +183 punti base sopra i Treasuries di pari durata. In effetti, sul mercato secondario i quinquennali offrono oggi un rendimento dell’1,69%, i decennali del 2,32% e i trentennali del 3,17%. Rispetto ai prezzi dell’emissione di aprile, hanno segnato rispettivamente +3,9%, +7,9% e +18,2%. Grosse variazioni positive, che si spiegano con il fatto che Abu Dhabi sia ormai l’unico emittente nella regione ad avere mantenuto la doppia “A” come rating sovrano.
Bond in dollari dell’Arabia Saudita: rendimenti allettanti, ma preoccupa la crisi fiscale
Con un debito pubblico ancora al 12% del pil e una posizione finanziaria netta attiva e pari al 200% del pil, è considerato molto sicuro. Malgrado il tracollo delle quotazioni petrolifere di questi mesi, la solidità fiscale e finanziaria consentono all’emirato di sostenere meglio dei competitor del Golfo Persico questa fase e il ricorso all’indebitamento sui mercati internazionali gli permette anche di continuare a diversificare l’economia, a sostegno della crescita del settore privato non petrolifero. Prima dell’emissione di aprile, Abu Dhabi si era rivolto ai mercati nel settembre 2019 con un’emissione da 10 miliardi, coperta per 2,5 volte da ordini complessivi per 25 miliardi di dollari.
Rischi e opportunità
Queste obbligazioni presentano un rischio di credito obiettivamente molto basso e uno di cambio anch’esso modesto, legato alle variazioni euro-dollaro per un investitore dell’Eurozona. Si consideri che si tratterebbe di inserire in portafoglio assets denominati nella valuta americana, ma che rendono a premio rispetto al debito sovrano a stelle e strisce e persino a quello italiano, sebbene in questo secondo caso bisogna fare i conti con il cambio. Ad esempio, al netto dell’atteso apprezzamento dell’euro contro il dollaro, il decennale alla scadenza risulterebbe di circa 35 centesimi meno proficuo del nostro BTp oggi.
Interessante è, poi, il fatto che queste obbligazioni, specie sul tratto medio-lungo, offrano grosse opportunità di guadagno con la risalita delle quotazioni petrolifere. Già in queste ultime settimane si sono registrati rialzi cospicui, ma il meglio arriverebbe con il ritorno graduale del petrolio ai livelli di prezzo pre-Coronavirus. Non sarebbe un fatto immediato, ma nel frattempo le plusvalenze (teoriche) si farebbero ogni giorno più nitide. Del resto, nel settembre scorso l’emirato poté emettere debito a 5, 10 e 30 anni offrendo un premio rispettivamente di 80, 100 e 125 punti base rispetto ai Treasuries di pari durata, per cui i numeri ci suggeriscono che rispetto a una condizione di pieno ritorno alla normalità vi sarebbero margini di crescita per i prezzi ancora di svariati punti.
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