Il dialogo tra amministrazione Biden e Iran parte in salita. Le autorità americane hanno sequestrato una nave carica di petrolio, probabilmente proveniente dalla Repubblica Islamica e che batte bandiera liberiana. La proprietà greca Capital Ship Management aveva allertato nei giorni scorsi gli USA, avvertendoli del rischio che il carico della nave Achille fosse di provenienza iraniana e non irachena, come aveva pensato in un primo momento. Si sa che in ottobre i 2 milioni di greggio erano stati trasferiti da un’altra petroliera negli Emirati Arabi Uniti.
L’Iran è tornata sotto embargo dal 2018, dopo che l’ex presidente Donald Trump ruppe l’accordo sul nucleare, siglato a fine 2015 dall’amministrazione Obama e che dal 2016 aveva consentito a Teheran di tornare ad esportare petrolio. Il nuovo presidente Joe Biden si mostra aperto alla possibilità di tornare ai termini di quell’accordo, ma il suo segretario di Stato, Antony Blinken, ha avvertito che prima l’Iran dovrà rinunciare al suo programma di arricchimento dell’uranio.
Venezuela, Cuba, Iran e Corea del Nord: quali saranno i primi passi dell’amministrazione Biden?
Economia dell’Iran al collasso
Peraltro, il sequestro del carico giunge a pochi giorni da un altro, stavolta effettuato proprio dalle autorità iraniane ai danni di un cargo sudcoreano nello Stretto di Hormuz. Il personale di bordo è stato liberato dopo qualche giorno, ma non anche l’imbarcazione. L’operazione è scattata a seguito del “congelamento” di ben 7 miliardi di dollari da parte di Seul e relativi a pagamenti dovuti nei confronti di Teheran. Denaro, che le banche sudcoreane sostengono non possa essere trasferito nelle casse iraniane, in quanto oggetto di embargo. In tutto, presso le banche estere risultano “congelati” 19 miliardi.
La Repubblica dell’ayatollah Khameini va ad elezioni presidenziali tra qualche mese e il presidente Hassan Rohani non potrà ricandidarsi, avendo espletato due mandati consecutivi. I sondaggi darebbero in testa l’ala conservatrice, quella più riluttante a un accordo con l’America. Il voto avviene in un clima di forte deterioramento delle già precarie condizioni economiche del paese. Il rial è collassato sul mercato nero a oltre 240.000 contro il dollaro, quando il cambio fisso imposto per le importazioni di beni di prima necessità è di appena 42.000. I mancati introiti derivanti dalle esportazioni di greggio si fanno sentire, con le importazioni stesse ad essere state sostanzialmente dimezzate in tre anni per tenere sotto controllo la bilancia commerciale.
Nelle ultime settimane, varie città, tra cui la capitale, sono alle prese con frequenti blackout e con una nube di smog che ricopre i centri abitati, probabilmente causata dalla sostituzione del gas naturale con combustibile fossile per alimentare le centrali elettriche. La fame di dollari è stata accresciuta dalla crisi internazionale scatenata dalla pandemia. L’Iran ha un disperato bisogno di tornare a vendere petrolio all’estero, ma per farlo dovrà rinunciare ai suoi programmi nucleari. E gli USA pretenderanno condizioni ancora più stringenti di quelle concesse cinque anni fa. E, soprattutto, hanno tutto il tempo per poter aspettare, quello che manca agli iraniani per non subire un rovinoso crac.