Il governo sta prevedendo una “mini-stretta” sugli affitti brevi, che non convince affatto i sindaci di alcuni principali città italiane, specie quelli di sinistra. Il ministro del Turismo, Daniela Santanchè, ha proposto di fissare un minimo di due pernottamenti consecutivi per i b&b nei comuni ad alta intensità turistica. Un modo per andare incontro alle richieste di regolamentazione delle strutture alberghiere. Ma il sindaco di Firenze, Dario Nardella, si è spinto ben oltre: nel centro storico ricadente nell’area patrimonio Unesco, gli affitti brevi saranno vietati.
Battaglia sindaci contro modello Airbnb
Santanchè si è detta disposta ad incontrare i sindaci su questo tema molto sensibile, ma è parsa contraria a soluzioni ideologiche contro il famoso “modello Airbnb“. Da un lato esiste senza dubbio l’interesse dei residenti a permettersi la locazione di un immobile a scopo abitativo a prezzi realistici. Tuttavia, il divieto tout court degli affitti brevi in alcuni quartieri delle città è non solo altamente lesivo dei diritti di proprietà, ma anche dannoso per le ragioni dell’economia.
La questione è complessa. Molti appartamenti sono sottratti al mercato delle locazioni a lungo termine per essere destinato agli affitti brevi. I turisti rendono di più giornalmente e comportano minori rischi per i proprietari delle case. Questa situazione ha portato nelle grandi città ad una carenza di offerta di immobili a scopo abitativo. I canoni di locazione sono saliti e, in alcuni casi, esplosi a livelli insostenibili. In una città come Milano è diventato impossibile per la classe media risiedere in un quartiere centrale.
Il caso di Firenze, però, dimostra che esiste il rischio di cercare di rimediare a un problema provocandone un altro. Vietare o limitare gli affitti brevi in alcune aree finisce per ridurre i flussi turistici.
Divieto affitti brevi rischioso e inutile
Le cause del caro affitto vanno ricercate altrove. Lo stato italiano ha usato le proprietà immobiliari come limoni da spremere per fare cassa. L’altissima imposizione fiscale sulle seconde case ha fatto impennare i canoni di locazione. E c’è poi la scarsa difesa della proprietà nel caso di conflitto con l’inquilino. Sfrattare chi non paga è diventato pressappoco impossibile e, comunque, un processo lungo e costoso. Per mesi, se non anni, il proprietario rischia di perdere l’affitto, di doverci pagare ugualmente le imposte e di sostenere i costi legali per vedere mandato via l’inquilino. In previsione di tale rischio, gli affitti sono fissati più alti di quanto non sarebbero in un mercato più efficiente.
E’ comprensibilissima la frustrazione degli albergatori, i quali sono esposti a una concorrenza crescente da parte del mercato degli affitti brevi. Ma in un Paese ad altra attrazione turistica come l’Italia c’è fortunatamente spazio per tutti. Fino a pochi anni fa, lamentavamo una carenza di posti letto per turisti in molte città, considerata un limite per lo sviluppo del turismo. Questo problema non esiste più grazie al modello Airbnb, che non va pontificato, ma neppure ostracizzato a priori. Il flop storico dell’equo canone ci ricorda che l’iper-regolamentazione del mercato immobiliare porta non già ad una tutela del presunto soggetto debole, bensì all’affievolimento dei suoi diritti con la nascita di un mercato nero sfuggente alle leggi dello stato.
Il dibattito non riguarda solamente l’Italia. La piattaforma digitale Airbnb ha fatto causa al Comune di New York per avere bloccato dal prossimo luglio le prenotazioni per gli host non registrati. Il boom degli affitti brevi spaventa le amministrazioni locali, che temono di perdere residenti e consenso. Ma è più facile guardare al dito e non alla luna. A pochi tra i politici viene in mente che il business sia diventato un modo per mettere a reddito immobili utilizzati dai governi per la famosa “redistribuzione della ricchezza”, che fa tanto chic e finisce per colpire proprio le fasce sociali che s’intendono aiutare.