Nel Ferragosto di due anni fa, i talebani tornavano ufficialmente al potere dopo venti anni. La conquista di Kabul avveniva senza sparare un colpo. L’esercito regolare si arrendeva dopo la fuga all’estero dell’allora presidente Ashraf Ghani. Ventiquattro mesi dopo, l’Afghanistan resta in condizioni economiche e sociali assai critiche. Di questo hanno parlato gli emissari dell’Emirato Islamico con i diplomatici degli Stati Uniti, a colloquio per due giorni in Qatar questa settimana. Il Dipartimento di Stato USA ha aperto a un dialogo “tecnico” per cercare di stabilizzare la poverissima economia locale.
I talebani hanno inviato due richieste specifiche a Washington: la fine dell’embargo sui visti per consentire ai loro rappresentanti di viaggiare all’estero; la restituzione di 7 miliardi di dollari delle riserve valutarie della banca centrale. Queste sono state “congelate” dalla Federal Reserve, poiché né gli Stati Uniti, né alcun altro paese al mondo riconosce formalmente il regime afghano. Metà di tali asset risultano depositati in Svizzera.
USA-talebani in cerca di disgelo
Queste riserve valutarie ammontavano ad oltre un terzo delle dimensioni economiche dell’Afghanistan prima del ritorno al potere dei talebani. Considerato il tracollo del PIL accusato nell’anno successivo, oggi avrebbero un peso ancora maggiore. Per il 70% l’economia domestica era composta da aiuti internazionali e spese effettuate dai militari stranieri dislocati nel paese. In pratica, dopo decenni di guerre e tensioni interne, l’Afghanistan non ha alcuna economia propria.
Gli Stati Uniti non stanno cedendo sulle richieste. A loro volta chiedono il rispetto dei diritti umani, in primis la possibilità per le donne di studiare e lavorare. Non sembra che le cose stiano andando per il verso giusto. In questi ultimi giorni, i talebani stanno distruggendo ogni strumento musicale e radio rinvenuti nei villaggi per impedire l’ascolto della musica, considerata una “devianza” per i giovani.
Distrutto 90% coltivazioni di oppio
Prima del loro ritorno al potere, il traffico di droga incideva per il 14% del PIL. A quanto pare, sarebbero riusciti laddove gli americani avevano fallito. Già nel 2000, erano stati in grado di debellare le coltivazioni di oppio. Le conseguenze per la popolazione non sono indolori. Si calcolano perdite dirette per 1,3 miliardi di dollari e la distruzione di 450 mila posti di lavoro. Quasi impossibile che gli agricoltori trovino un impiego alternativo, dato il collasso totale dell’economia. Gli Stati Uniti sono da un lato soddisfatti dei risultati della lotta alla droga, dall’altro guardano con preoccupazione alle possibili conseguenze.
I cartelli dei narcos messicani potrebbero ricorrere alla produzione e vendita di droghe sintetiche e alla pericolosissima fentanyl, che già risulta avere provocato in Nord America il record storico di morti. Le organizzazioni criminali cinesi potrebbero puntare su tali alternative in collaborazione con la criminalità italiana per esportare droghe succedanee dell’oppio in Europa e Americhe.
L’acqua divide Afghanistan da resto Asia Centrale
L’operato dei talebani sta provocando tensioni anche nell’Asia Centrale. Si sono registrati scontri a fuoco tra forze militare afghane e iraniane a causa della penuria di acqua, un problema che riguarda anche Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan. Kabul sta deviando il corso delle acque del fiume Amu Darya, al confine tra cinque stati tutti sofferenti di aridità. La questione è diventata così importante che probabilmente dovrà essere affrontata niente di meno che dalla Cina, la più grande potenza regionale.
Al di là delle distanze sui temi, gli Stati Uniti non vogliono legittimare i talebani, che ufficialmente sono un’organizzazione terroristica. Ma senza interloquire con loro non è possibile cercare di risolvere le numerose criticità dell’Afghanistan.