Nel momento in cui, nella buca delle lettere, si intravede il marchio dell’Agenzia delle Entrate, difficilmente ci si potrà aspettare qualche buona notizia. Anche se, per la verità, l’ente comunica perlopiù le sue informazioni, cartelle esattoriali comprese, tramite il proprio indirizzo Pec. Il che, se da una parte è certamente una comodità, dall’altra espone anche il Fisco alla possibilità di subire le stesse infiltrazioni da parte di attori esterni. Sì, perché il potenziamento della tecnologia non risparmia i suoi lati negativi. I quali, in questi casi, assumono l’aspetto e la forma di indirizzi fasulli, che mirano ad appropriarsi di denaro altrui sfruttando nomi e marchi di aziende ed enti pubblici.
Un rischio calcolato a ogni modo. Tanto che ognuno di questi ha messo a disposizione degli utenti un’informativa che mira a mettere a parte chiunque della possibilità di incappare in messaggi di questo tipo, invitando a diffidare di qualunque messaggio pervenuto da indirizzi diversi da quelli ufficiali. Certo è che questo è solo uno dei problemi portati dall’informatizzazione dei sistemi di comunicazione.
Agenzia delle Entrate, il problema Pec
L’Agenzia delle Entrate Riscossione, o meglio il suo indirizzo Pec, starebbero vivendo un altro momento complicato. Un difetto non nella comunicazione ma nella mail stessa che, secondo quanto emerso negli ultimi giorni, potrebbe non essere iscritto nei registri pubblici. Di conseguenza, c’è il rischio (concreto) che milioni di notifiche di pagamento comunicate possano essere annullate. L’iscrizione ai pubblici registri, infatti, è un obbligo determinato a livello legislativo, ai sensi della legge 53/1994, che disciplina l’invio telematico delle notifiche. Nello specifico, è l’articolo 3 bis a disporre l’obbligo di trasmissione “esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante che compare negli elenchi pubblici”. Una questione tutt’altro che trascurabile, non solo perché disciplinata dalla legge ma anche per le centinaia di ricorsi arrivati alle Commissioni tributarie in tutta Italia.
La giurisprudenza
La norma è piuttosto chiara: oltre all’obbligo dell’iscrizione ai registri pubblici (Ipa, Reginde e Inipec), viene stabilito che qualsiasi notifica proveniente da un indirizzo non ufficiale sarà da considerare “inesistente”. Chiaramente, l’obiettivo non è solo “ufficializzare” la mail Pec in questione ma anche proteggere l’utente dai tentativi di phishing e altre tipologie di truffe di cui si parlava. Per questo, nel momento in cui un contribuente ricevere una mail che sembra provenire dall’Agenzia delle Entrate e relativa a una cartella esattoriale o ad altre comunicazioni inerenti il suo cassetto fiscale, deve avere la possibilità di verificare l’autenticità del messaggio.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione, arrivata a seguito di un ricorso presentato alla Commissione tributaria di Napoli e culminato con l’annullamento di una cartella esattoriale, spiega chiaramente che la notifica “può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi”. Pronunciamento che, di fatto, vanifica anche l’appello fatto dalla difesa degli enti di riscossione, basata sull’articolo 26 del DPR 602/1973. Nel quale si parlava sì dell’obbligo di iscrizione dell’indirizzo Pec ai registri pubblici, ma del destinatario. Non sempre l’Agenzia delle Entrate ha ragione quando chiede i soldi indietro.