Si terrà questo giovedì 16 marzo la seconda riunione del board alla Banca Centrale Europea (BCE) da inizio anno. Un evento dall’esito scontato fino a pochissimi giorni fa. E lo è perlopiù anche adesso. Solo che man mano che ci avviciniamo alla data, le “colombe” stanno riprendendo forza inattesa dagli ultimi avvenimenti sui mercati finanziari. Borse giù dopo che due banche americane sono fallite, costringendo Tesoro e Federal Reserve negli Stati Uniti a varare un piano di salvataggio d’emergenza. Non accadeva dal settembre del 2008, quando il crac riguardò Lehman Brothers.
Qualche giorno fa, la posizione di Ignazio Visco nel board BCE era considerata in estrema minoranza. Il governatore della Banca d’Italia aveva attaccato i colleghi del Nord Europa, rei di avere prospettato rialzi dei tassi automatici anche dopo marzo. Aveva invitato ad attenersi alle decisioni adottate alla riunione di febbraio, quando si era discusso di seguire una linea “data dependent”.
Prima di lui, anche il consigliere esecutivo Fabio Panetta aveva invitato alla prudenza, prendendo le distanze dalle dichiarazioni dei “falchi”. I numeri pendono nettamente dalla parte di questi ultimi: 14 contro 7 votanti al prossimo board BCE di giorno 16. Tuttavia, le condizioni anche mediatiche stanno mutando repentinamente. La lotta all’inflazione resta sentita, ma le si affianca l’esigenza di salvaguardare la stabilità finanziaria. Crescono le preoccupazioni per il rischio di contagio, anche all’infuori del sistema bancario americano.
Board BCE tra tensioni finanziarie e alta inflazione
Nessuno si aspetta che la BCE annunci tra tre giorni che non alzerà i tassi d’interesse. Lo farà, e verosimilmente di altri 50 punti base o 0,50%. Solo che la linea della comunicazione dell’istituto sarà probabilmente improntata a una maggiore prudenza verbale e scritta. Non saranno più messe le mani avanti sui futuri aumenti dei tassi, né forse sarà accolta la proposta della Bundesbank di aumentare da 15 a 20 miliardi al mese sin da subito il taglio dei riacquisti mensili dei bond. Negli Stati Uniti, già il rialzo dei tassi di marzo è considerato dubbio, quando fino a pochi giorni fa era scontato al 50% tra 0,25% e 0,50%.
Basti guardare alla reazione dei mercati anche nell’Area Euro. Il rendimento del BTp a 10 anni è crollato dal 4,63% toccato ai primi di marzo al 4,15% di questa mattina. Lo spread sta registrando solo qualche lieve tensione, restando sotto 185 punti base. Nel frattempo, infatti, il Bund decennale è passato dall’offrire il 2,75% al 2,30%. C’è una corsa ai “safe asset“ in queste ore, che denota la paura che serpeggia tra gli investitori circa la capacità di resilienza di molte realtà sia ai crac bancari d’Oltreoceano, sia al prosieguo della stretta sui tassi.
Le “colombe” potranno presentarsi al board BCE di questa settimana senza più quei forti complessi d’inferiorità dettati dallo stato delle cose. Obiettivamente, sembrava imbarazzante reclamare uno stop al rialzo dei tassi con un’inflazione ancora all’8,5% nell’Area Euro. Da oggi, potranno eccepire che di questo passo il vero rischio sia di passare dall’inflazione a due cifre alla deflazione per effetto di un possibile collasso del credito. Ed ecco che improvvisamente il dibattito si fa meno scontato e più interessante di quanto non pensassimo fino a giovedì scorso. Unico guaio è che il cerino è in mano a Christine Lagarde, le cui capacità di gestione di fasi complicate sono state già testate con risultati a dir poco scadenti negli ultimi tre anni e mezzo.