L’era Merkel volge al termine e mai come adesso la Germania sembra godere di splendida salute. Già quest’anno, il suo rapporto tra debito pubblico e pil dovrebbe scendere sotto il 60%, grazie al quinto surplus di bilancio consecutivo, atteso nell’ordine dell’1,5%. Le esportazioni continuano ad andare a gonfie vele, con i primi mesi 10 mesi dell’anno chiusi in avanzo di 197,1 miliardi di euro, qualcosa come quasi 6 punti di pil già messi in cascina, al netto dei dati di novembre e dicembre.
C’è insoddisfazione in Germania, come raccontano le cronache politiche e non di questi anni. Mesi fa, un gruppo di economisti vicini ai conservatori della cancelliera propose la “pazza” idea di far uscire dall’euro proprio la Germania per fare cassa degli oltre 900 miliardi di saldo attivo del Target 2, il sistema dei pagamenti tra stati dell’Eurozona e facente parte della BCE. L’Italia ha per contro un debito che sfiora i 500 miliardi e i saldi, stando a una dichiarazione espressa dal governatore Mario Draghi nel 2017, dovrebbero essere regolati all’istante, nel caso in cui uno stato membro uscisse dall’unione monetaria. In altre parole, se il nostro Paese tornasse alla lira, dalla sera alla mattina dovrebbe pagare 500 miliardi, mentre se i tedeschi tornassero al marco, dovrebbero ricevere pagamenti per oltre 900 miliardi. Parliamo di questioni tecniche complesse, ma un dato appare certo: la Germania, accumulando cospicui e continui surplus commerciali e delle partite correnti, è la vera vincitrice dell’euro, a meno di 20 anni dalla sua nascita.
Chi glielo farebbe fare a uscire dall’euro, anche immaginando che davvero fosse capace di riscuotere 900 miliardi dai partner dell’area? In effetti, il principale beneficio di stare nell’euro per l’economia tedesca consiste nella possibilità di esportare beni e servizi in altre 18 economie, senza preoccuparsi del cambio forte, tra cui in Italia, Francia e Spagna, mercati che da soli fanno quasi 170 milioni di consumatori, il doppio della popolazione tedesca. Tutto vero, ma guai a estremizzare i concetti in un senso o nell’altro. L’idea imperante nel Sud Europa, secondo la quale Berlino farebbe di tutto per tenere in piedi l’euro, rischia di rivelarsi una pia illusione di quanti sperano di poter tirare la corda su temi come i conti pubblici, senza il pericolo di mandare tutto all’aria.
Export Germania da record, ma all’Europa non serve mettere in croce la Merkel
Germania ed euro legame non indissolubile
Il progetto della moneta unica sta molto a cuore alla classe politica tedesca, un po’ meno all’opinione pubblica, sempre più irritata per l’instabilità dell’area, caratterizzata da divisioni crescenti tra un nord fiscalmente virtuoso e un sud percepito come lassista o “spendaccione”. Ma i numeri ci dicono che per la Germania sarebbe tutt’altro che vitale restare nell’euro, se i suoi contribuenti fossero costretti a esporsi a rischi sovrani e bancari di altri stati sempre più alti. Dell’immenso surplus commerciale, solo poco più di un quarto riguarda le esportazioni nette verso il resto dell’Unione Europea. E, attenzione, trattasi di un dato che comprende anche le 9 economie non facenti parti dell’Eurozona, tra cui Regno Unito, Polonia e Svezia, grandi e ricchi mercati con cui la Germania intrattiene solide relazioni commerciali.
Sui 52,1 miliardi di surplus tra gennaio e ottobre, possiamo stimare che una ventina siano nei confronti del Regno Unito, in via di uscita dalla UE con la Brexit. Questo significa che, allo stato attuale, i tedeschi ricavano dal commercio con il resto della UE-27 qualcosa come sui 35 miliardi all’anno di surplus, appena un quinto dei 175 attesi nell’intero anno verso le economie extra-UE. E si consideri che verso queste ultime, la somma tra import ed export vale ancora meno del 40% del totale per la Germania. Tuttavia, vendere a mercati esterni alla UE rende alla Germania circa 4 volte e mezzo che vendere verso il mercato unico europeo. Questo è anche dato dal fatto che i consumatori tedeschi acquistano da fuori dalla UE appena un terzo dei prodotti in ingresso in Germania, per cui fanno shopping essenzialmente nel mercato unico. A rigore, converrebbe loro pagare il meno possibile su beni e servizi made in UE, risultato che otterrebbero tornando al marco. Certo, le esportazioni verso il resto del mondo rischierebbero di subire un contraccolpo, ma se si considera che queste si mostrano, come scritto sopra, ad alto valore aggiunto, parte del problema forse nemmeno si porrebbe.
Sta di fatto che la Germania vanta ormai una posizione sul fronte dell’import/export invidiabile a qualsiasi altra grande economia del pianeta. Essa pesa per quasi un terzo del totale nella UE e quasi il 40% dell’Eurozona. E a dirla tutta è proprio l’Eurozona a trazione tedesca a tenere il continente a galla con la bilancia commerciale, chiudendo con un attivo di 156 miliardi in 10 mesi contro i -22,4 miliardi della UE. Stiamo attenti a pensare che i tedeschi, pur di restare nell’euro, accetteranno la qualsiasi. Così non sembra. I +900 miliardi che vantano come crediti con il Target 2, ad esempio, già valgono una trentina di volte il surplus commerciale annuo verso i partner dell’area. Come dire, se facessero cassa subito, si prenderebbero in anticipo almeno 3 decenni di esportazioni nette nell’unione monetaria.
Come la Germania vorrebbe fregare tutti e fuggire dall’euro con 900 miliardi