L’allargamento dell’Unione Europea ad est è una buona idea? Dipende dall’obiettivo

L'allargamento dell'Unione Europea tra minaccia esistenziale e necessità di rendere più efficiente la governance. Rischi elevati.
1 anno fa
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Allargamento dell'Unione Europea ad est?
Allargamento dell'Unione Europea ad est? © Licenza Creative Commons

Ucraina, Moldavia, Serbia, Bosnia, Montenegro, Macedonia del Nord, Albania e Georgia sono attualmente paesi candidati per entrare a far parte dell’Unione Europea. La decisione più controversa è stata all’ultimo vertice del Consiglio europeo di una settimana fa relativa all’Ucraina. Fino all’ultimo l’Ungheria aveva opposto il veto, che ha mantenuto sullo stanziamento degli aiuti militari. L’opposizione di Viktor Orban è tutt’altro che ideologica e molto pratica: se Kiev farà membro dell’Unione, buona parte dei fondi di coesione andranno a suo favore e verranno sottratti a capitali come Budapest.

Allargamento Unione Europea impraticabile con governance attuale

L’allargamento dell’Unione Europea ad est comporta proprio questo rischio per le grandi economie, vale a dire di dover sborsare ancora più fondi verso Bruxelles. Italia, Francia e Germania sono tra i principali contribuenti netti, cioè attingono dal bilancio comunitario a risorse inferiori rispetto a quelle che vi versano. Se aumenta il numero dei paesi con PIL pro-capite medio-basso a far parte dell’Unione, i contributi a nostro favore inevitabilmente si ridurranno e si amplierà il gap con gli stanziamenti effettuati.

E questa è forse la questione meno cruciale che pone un allargamento dell’Unione Europea. In questi giorni si dibatte sulla bontà della regola dell’unanimità in seno al Consiglio. Come abbiamo potuto verificare il 13 dicembre scorso, è bastato il “no” di un solo paese per bloccare l’invio di aiuti militari all’Ucraina. Pertanto, ciascun paese ha diritto di veto. Così, non si amministra neppure un condominio, ha tuonato l’ex presidente della Commissione, Romano Prodi. Sulla stessa linea il presidente Sergio Mattarella.

Diritto di veto garanzia per l’Italia

E’ evidente che sia così ed è ancora più evidente che con l’allargamento dell’Unione Europea tale regola diverrebbe impraticabile, rischierebbe di paralizzare l’intera area. Ma la sua rimozione sarebbe tutt’altro che una mossa senza conseguenze.

Il diritto di veto assegnato a qualsiasi paese è stato previsto nei Trattati per evitare atti di soverchieria nei confronti di chicchessia. E se ci pensate bene, l’Italia sta avendo un minimo peso negoziale in queste settimane sulla riforma del Patto di stabilità, in virtù del possibile veto ventilato dal governo Meloni su qualsiasi accordo indigesto.

Siamo sicuri che votare a maggioranza sarebbe una buona idea per paesi come l’Italia senza numerosi alleati tra i capi di stato e di governo? Non rischiamo di consegnare le chiavi del potere anche formalmente all’asse franco-tedesco? Certo, la soluzione di compromesso potrebbe essere un voto a maggioranza qualificata, in rappresentanza di un certo numero di stati e di una percentuale elevata della popolazione comunitaria. Ma ciò non eviterebbe a Berlino e Parigi di spadroneggiare e di relegare paesi fondatori come l’Italia in un angolo, grazie al collaudato sistema di alleanze di cui godono.

Superstato o mercato unico?

E l’allargamento dell’Unione Europea porrebbe tutti dinnanzi alla presa d’atto dell’impossibilità di prendere decisioni comuni su tutti i temi chiave, dalla politica fiscale agli esteri, passando per la sicurezza. La Brexit non ha insegnato nulla a Bruxelles. L’addio del Regno Unito nel 2016 e ufficializzato nel gennaio 2020 avvenne per l’impossibilità di mettere sotto lo stesso tetto paesi con tradizioni politiche differenti. E stiamo parlando di paesi culturalmente omogenei. Vi immaginate dover decidere di regole di bilancio o di geopolitica con paesi come Ucraina o la lontana Georgia?

Prima o poi, l’Unione Europea dovrà scegliere se trasformarsi in un superstato con poteri invasivi o se optare per un mercato unico caratterizzato da una struttura istituzionale snella e con poteri decisionali affidati perlopiù agli stati nazionali. Nel primo caso, risulterebbe quasi impossibile ipotizzare una ulteriore espansione dopo quella dei primi anni Duemila, avvenuta quando al timone vi era Prodi.

Più aumentano i componenti, minore l’omogeneità interna. Se fossimo rimasti i 12 paesi del blocco occidentale, come fino a una ventina di anni fa, probabilmente saremmo stati maggiormente capaci di assumere decisioni di rilevanza geopolitica. Più piccoli, insomma, ma anche più efficaci e influenti nel resto del mondo.

Allargamento Unione Europea rischio esistenziale

C’è da dire che l’allargamento dell’Unione Europea ad est vorrebbe assumere un significato esso stesso strategico. Porrebbe un limite invalicabile alla sfera d’influenza sino-russa. Sul piano storico, poi, ricostituirebbe quell’Europa smembrata sul piano politico da divisioni ideologiche e conflitti dolorosi. Ma più si è grandi e meno si sarà funzionali. Il Vecchio Continente è oggi un attore marginale, per non dire persino spettatore passivo, nella fase di riassetto dell’ordine mondiale.

Eppure i numeri ci porterebbero a dire che sarebbe già più grande degli Stati Uniti. Peccato che l’unità interna praticamente non esista. Nord contro Sud, Est contro Ovest, grandi contro piccoli. Divisioni che si ripercuotono su ogni tema, si tratti di politica fiscale o monetaria, di esteri o difesa, di commercio o di banche. Siamo sicuri che espanderci ancor prima di rafforzarci tra quelli che già siamo sia il modo per rafforzare l’Unione o la strada più veloce per disintegrarla?

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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