Il sistema pensionistico e previdenziale italiano è prossimo al collasso. Questo non succederà a breve e nemmeno nei prossimi anni, ma le proiezioni degli esperti ci fanno capire che il deficit dell’Inps prima o poi diverrà insostenibile in assenza di interventi strutturali. E il problema non è solo italiano, ma lo è in particolar modo in Italia laddove vi è un calo demografico più marcato che altrove in Europa.
E’ di oggi la notizia dell’Istat che nel 2018 in Italia ci sono state 18.000 nascite in meno rispetto al 2017, trend già di per sé negativo da alcuni anni.
Diminuzione delle nascite, i dati Istat
Nel 2018 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 439.747 bambini, un nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia. La popolazione residente in Italia è diminuita di 124.427 unità nel 2018 pari al -0,2%. Al primo gennaio 2019 risiedono in Italia 60.359.546 persone, di cui l’8,7% sono straniere. Già a partire dal 2015 – ricorda l’Istat – il numero di nascite è sceso sotto il mezzo milione e nel 2018 si registra un nuovo record negativo. La diminuzione delle nascite è di oltre 18 mila unità rispetto al 2017 (-4%). Il calo si registra in tutte le ripartizioni ma è più accentuato al Centro (-5,1% rispetto all’anno precedente).
La tenuta dei conti dell’Inps
Questi dati, minano la tenuta del sistema previdenziale italiano. Questo perché la spesa pensionistica non è compensata dalle entrate contributive dei giovani lavoratori che sono sempre meno a causa della mancanza di lavoro stabile e dalla precarizzazione selvaggia del lavoro. Per contro, l’allungamento della vita media degli italiani, se da un lato è indice di benessere, dall’altro comporta una maggiore spesa pensionistica.
Pensioni da fame per i giovani lavoratori
Quando, fra qualche anno, faranno anche loro domanda di pensione, sarà crisi e le pensioni di domani saranno da fame. I lavoratori di oggi non percepiranno mai un trattamento pensionistico pari a quello dei loro predecessori. Ma il problema più grosso riguarderà i 40 enni precari di oggi, alle prese con lavori saltuari e mal pagati che andranno in pensione non prima di aver compiuto i 73 anni di età in assenza di almeno 20 anni di contributi, con un assegno misero non avendo manco diritto all’integrazione al trattamento minimo (esclusa per il regime contributivo). A titolo di esempio, oggi come oggi, chi ha lavorato 20 anni con un lavoro full time e reddito di almeno 15 mila euro all’anno percepirebbe una pensione mensile di 680 euro lordi. Chi, viceversa, avesse lavorato come precario (colf o badante) per 8.000 euro all’anno potrà andare in pensione dopo 43 anni di lavoro con 270 euro al mese.