Ieri, l’Osservatorio Inps ha aggiornato i dati relativi alle pensioni percepite dagli ex dipendenti pubblici. L’1 gennaio scorso, sono stati liquidati 3,1 milioni di assegni per una cifra complessiva di 90,1 miliardi di euro, in aumento dell’8,2% rispetto a un anno prima. I nuovi assegni risultano diminuiti del 9,8% a 136.418, anche se il loro importo unitario medio è salito del 4,1% a 2.083,44 euro. Sin dal marzo del 2012, a seguito di una decisione voluta dall’allora governo Monti, l’ex Inpdad fu assorbita dall’Inps.
Settore privato in forte avanzo
Prendiamo i dati che ci fornisce la stessa Inps in relazione alle previsioni sul 2023. Ebbene, lo scorso anno si prevedeva un risultato negativo per gli ex dipendenti pubblici nell’ordine dei 18,723 miliardi, in peggioramento dai -14,93 miliardi dell’esercizio precedente. Invece, il settore privato nel suo complesso avrebbe esitato un risultato positivo di 10,459 miliardi, pur in calo dai 17,73 miliardi del 2022. Questo ultimo dato è attribuibile all’impatto che sta avendo sui conti Inps il taglio del cuneo fiscale. Esso nei fatti consiste nella riduzione dei contributi previdenziali versati dai lavoratori dipendenti con reddito fino a 35.000 euro lordi all’anno.
In ogni caso, rimane il fatto che, prendendo la sola gestione relativa ai dipendenti del settore privato più i lavoratori parasubordinati e includendo le prestazioni temporanee per il lavoro dipendente, il saldo sia decisamente attivo: +23,586 miliardi (da +29,037 miliardi). In effetti, anche nel settore privato esistono categorie che incidono negativamente sul saldo complessivo: lavoratori agricoli autonomi (-2,771 miliardi), artigiani (-6,385 miliardi) e commercianti (-3,974 miliardi).
Pensione anticipata in 6 casi su 10
Nulla, tuttavia, che regga il confronto con gli ex dipendenti pubblici. Il dato relativo al 2023 rischia di risultare peggiore delle previsioni, visto che l’esborso per le relative pensioni è stato stimato superiore ad esse per circa 1,5 miliardi a 90,1 miliardi.
Da notare che il 58,9% dei trattamenti erogati agli ex dipendenti pubblici sono legati a una qualche forma di pensionamento anticipato. In pratica, la categoria non solo grava pesantemente sugli altri lavoratori, ma nei decenni ha beneficiato di norme che ne hanno consenti l’uscita dal lavoro ben prima dell’età ufficiale e dei colleghi nel settore privato. Una doppia ingiustizia che non è destinata certamente a risolversi in tempi brevi. Di fatto, abbiamo ormai quasi un ex dipendente pubblico in pensione per ognuno in attività. Non è così nel settore privato, dove il rapporto è ancora di poco superiore a 1,50.
Numeri su ex dipendenti pubblici mascherati da super Inps
Se ogni anno l’Inps chiude i conti in passivo, parlando strettamente di pensioni e non anche delle altre prestazioni istituzionali (Assegno unico, reddito di inclusione, ecc.) è perché il peso degli assegni erogati agli ex dipendenti pubblici non riesce ad essere sostenuto dalla medesima categoria. Fu proprio questa la ragione per cui il governo Monti inglobò soppresse l’allora Inpdad, trasferendone la gestione in capo all’Inps. Consentì alla politica di mascherare una realtà che sarebbe diventata insostenibile agli occhi dell’opinione pubblica, vale a dire un ente previdenziale assistito o ricorrendo alla fiscalità generale o con la contribuzione dei lavoratori del settore privato. Alla fine, si è fatto un po’ e un po’. E quasi in un silenzio assoluto di stampa, partiti e sindacati.