L’altra faccia degli Etf: fiumi di denaro che vanno ad alimentare una gigantesca bolla finanziaria

Gli Etf sono diventati popolarissimi e apprezzati dal mercato, ma negli ultimi tempi si moltiplicano le critiche sul rischio bolla e non solo
10 mesi fa
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Etf e rischio bolla
Etf e rischio bolla © Licenza Creative Commons

La nascita risale al 1990 nel Canada con la replica dell’indice TSE 35 della Borsa di Toronto. Tre anni più tardi, toccò a “Spider” replicare il sottostante S&P 500. Di strada da allora gli Exchange-Traded Funds (Etf) ne hanno percorsa parecchia. Il mese di gennaio di quest’anno ha visto affluire capitali record verso questi fondi: ben 136,8 miliardi di dollari nel mondo. E nel complesso sono saliti alla cifra altrettanto record di 11.700 miliardi. Pensate che alla fine del 2014 avevano chiuso con investimenti totali per 2.800 miliardi.

Come funziona un Etf

Gli Etf sono diventati popolarissimi e apprezzatissimi dal mercato. Ripercorriamo le loro caratteristiche salienti per i meno informati. Si tratta di normali fondi di investimento, ma che hanno la peculiarità di possedere una gestione “passiva”. Cosa significa? Non puntano a battere il mercato, bensì si limitano semplicemente a replicare l’andamento di un indice o materia prima sottostante (Etc o Exchange-Traded Commodities, in questo caso). Ad esempio, il suddetto SPDR S&P 500 UCITS ETF RANGE non fa altro che consentire agli investitori di puntare il loro denaro sul principale indice azionario americano (e mondiale) senza esporsi direttamente nell’acquisto dei singoli titoli che lo compongono.

Tecnicamente, un Etf acquista un paniere di azioni o obbligazioni o “commodities” in proporzione alla composizione dell’indice. Tanto per avere le idee chiare, se per ipotesi questo fosse composto da quattro titoli, il cui peso in termini di capitalizzazione fosse rispettivamente del 40%, 30%, 20% e 10%, l’Etf li acquisterebbe nelle medesime proporzioni per rispecchiarne l’andamento complessivo.

Vantaggi per l’investitore

Perché gli Etf sono così popolari? Essi hanno bassi costi di gestione, dato che i manager non devono arrovellarsi il cervello per capire su quali titoli puntare per massimizzare il rendimento. Si limitano a seguire un indice, eventualmente aggiornando i pesi interni con una certa periodicità.

Inoltre, consentono a qualsiasi investitore di beneficiare dell’andamento di un dato mercato senza dover inserire in portafoglio numerosi titoli. E questo è importantissimo per coloro che hanno scarse disponibilità liquide. Se possiedi 100.000 euro, difficilmente potrai acquistare tutti i 500 titoli dell’indice S&P 500. Puntandoli tramite un Etf, ne diventerai automaticamente un investitore.

Fin qui gli aspetti positivi, che esistono e sono indubbi. Ultimamente, però, iniziano a serpeggiare critiche sempre più numerose e apparentemente fondate agli Etf. La massa di denaro che convogliano è oramai enorme. Questo sta facendo la differenza. Pensate solamente a un dato. Le prime sei società per capitalizzazione dell’S&P 500 valgono il 30% del listino. Non c’era mai stata una così forte concentrazione all’interno del principale indice azionario mondiale. Colossi come Microsoft, Google, Apple, Amazon Nvidia e Meta si muovono nell’ordine dei trilioni di valore, cioè di migliaia di miliardi di dollari.

Rischi per il mercato

I loro movimenti quotidiani sovrastano perlopiù quelli del 97-98% del listino e finiscono per falsarne l’andamento. E cosa c’entra tutto ciò con gli Etf? Secondo più di un analista, essi starebbero alimentando un meccanismo perverso, per cui dirigono denaro a favore di alcuni asset e i prezzi di questi salgono per il semplice fatto che arrivi quel denaro. Tant’è che il confine tra fare il salto di qualità e rischiare di morire nell’attuale sistema finanziaria è tracciato dall’appartenenza o meno a un indice. Chi ne rimane fuori, non può approfittare del fiume di denaro degli Etf e perde interesse agli occhi del mercato. Chi riesce ad entrarvi, quasi per miracolo può giovarsene per agganciare un qualche boom, spesso indipendentemente dai risultati conseguiti.

L’esempio più recente è dato dai Bitcoin. Prezzi a +50% in meno di due mesi, cioè da quando la Securities and Exchange Commission ha dato il via libera ai primi Etf per la “criptovaluta” negli Stati Uniti.

Vabbè, parliamo di un asset particolare. Tuttavia, chi segue le cronache finanziarie, sa che diverse economie emergenti ambiscono a far rientrare i loro bond sovrani negli indici internazionali al fine di agganciare gli immensi flussi di denaro tramite Etf.

Discrimine crescente da grosse e piccole società

Il punto è questo: i fondi a gestione attiva studiano titolo per titolo, “commodity” per “commodity” e fanno una loro analisi sulle potenzialità che ciascuna società o materia prima avrebbe. Non è detto che ci azzecchino sempre, comunque alla base vi è uno studio. Nel caso degli Etf, l’investitore non compra altro che un paniere di titoli nel quale ripone il proprio denaro senza alcuna analisi. Investo nell’S&P 500 perché è il principale indice mondiale, non perché abbia dati che mi segnalano una sua possibile crescita nel medio-lungo termine.

I bassi costi di gestione, ergo le basse commissioni, riflettono questa assenza di analisi. Ciò porterebbe nel tempo a una cattiva allocazione del capitale e ad una conseguente inefficienza del mercato. Le società non ricevono alcun impulso a fare bene per attirare capitali, sapendo che sarebbe sufficiente rientrare in un dato indice. E una volta entrati, quasi per automatismo ci si resta. Gli Etf starebbero ampliando il solco non già tra società efficienti e meno efficienti, quanto tra società già grosse (per le ragioni sopra evidenziate) e piccole.

Etf e boom azionario

E guardate che il boom azionario non è indifferente per una società quotata in borsa. Anzitutto, attira la fiducia dell’intero mercato, fornitori compresi. Vendereste più volentieri merci o servizi a un’azienda ben capitalizzata, anziché a una che vale molto meno. Per non parlare dei creditori. Le banche trovano più conveniente prestare denaro (e a tassi inferiori) ad una società le cui azioni (magari in pegno) prezzano maggiormente. E gli obbligazionisti guardano con favore alla crescita del titolo, sia perché infonde loro maggiore sicurezza sull’affidabilità creditizia dell’emittente, sia perché possono approfittarne nel caso di strumenti come le obbligazioni convertibili.

E quando un titolo sale, le società possono approfittarne per raccogliere capitali freschi tramite aumenti. Il caso più lampante di questi anni è stato GameStop, una meme stock che stava quasi per chiudere battenti. Agli inizi del 2021, in sole tre settimane le azioni salirono da 4,42 a 81,25 dollari (+1.740%) e nei mesi successivi, grazie al boom, la società riuscì a raccogliere 1,65 miliardi con cui abbattere il debito e fare nuovi investimenti. Ancora oggi vale il triplo rispetto a prima dell’esplosione in borsa. In quel caso, gli Etf non c’entrarono. Il responsabile fu un tamtam su Reddit. Ma le analogie con quanto sta avvenendo a beneficio di alcune imprese, che nel giro di brevissimo tempo si trasformano in colossi quasi senza pari nel mondo della finanza, ci sono e preoccupano per le ricadute a medio-lungo termine.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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