In America si parla di rivalutazione dell’oro, ecco cos’è e il possibile impatto sull’economia mondiale

In America si discute della possibile rivalutazione dell'oro a cui ambirebbe l'amministrazione Trump. Ecco di cosa si tratta.
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2 giorni fa
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Possibile rivalutazione dell'oro in America
Possibile rivalutazione dell'oro in America © License Creative Commons

Mentre gli occhi del mondo sono puntati sulla questione dazi, c’è un altro tema che potrebbe avere effetti ancora più dirompenti per l’economia mondiale e che gira anch’esso attorno all’amministrazione Trump. Nei giorni scorsi, il segretario al Tesoro, Scott Bessent, ha dichiarato che “entro i prossimi 12 mesi monetizzeremo gli asset del bilancio americano”. Un’affermazione che ha spinto alcuni a credere che presto possa essere annunciata la rivalutazione dell’oro.

Rivalutazione dell’oro per tagliare il deficit?

Dobbiamo sapere che l’America è la prima detentrice al mondo del metallo prezioso con 8.133 tonnellate, seguita da Germania con circa 3.400 tonnellate e l’Italia con quasi 2.500.

A differenza degli altri stati, il titolare è il Tesoro americano, anche se la custodia spetta alla Federal Reserve. Metà dei lingotti sono detenuti nei forzieri di Fort Knox, Kentucky, sin dagli anni Trenta del secolo scorso, per ragioni di sicurezza.

Questi sono iscritti a bilancio a 42 dollari l’oncia sin dal 1973, quando questo era il suo prezzo di mercato. In cambio la Fed ha emesso verso il Tesoro certificati per un controvalore di 11 miliardi. Nel caso di rivalutazione dell’oro, il valore di tali certificati alle quotazioni attuali di 2.900 dollari salirebbe a più di 730 miliardi. L’incremento sarebbe nell’ordine dei 720 miliardi e determinerebbe per il Tesoro un’entrata una tantum a bilancio. Denaro che potrebbe essere teoricamente utilizzato per tamponare il deficit, riducendo le emissioni di Treasuries per i successivi mesi.

Sembra un’idea geniale, se non fosse che il debito americano superi i 36.000 miliardi e questa cifra, pur imponente, basterebbe appena a coprire un paio di mesi di spesa federale. Meglio di niente, ma è come pensare di prosciugare il mare con un secchiello. Ma allora questa rivalutazione dell’oro, ammesso che vi fosse, a cosa servirebbe? Per capirlo sarebbe interessante leggere le conclusioni a cui è giunto il capo del Council of Economic Advisor, Stephen Miran.

E’ stato da poco nominato dal presidente Trump suo principale consigliere economico, per cui le sue dichiarazioni andrebbero ascoltate.

Strumento per svalutare il dollaro

Miran ha balenato l’ipotesi di procedere alla rivalutazione e alla contestuale rivendita dell’oro sul mercato. I relativi proventi, spiega, potrebbero essere usati per acquistare asset denominati in valute straniere “deprezzate”. In questo modo, l’America prenderebbe due piccioni con una fava: attuerebbe nei fatti la svalutazione del dollaro e metterebbe a frutto la liquidità impiegata, mentre sino ad oggi il metallo è stato per gli americani un asset infruttifero.

Tanto per chiarirci le idee, l’America potrebbe vendere oro per acquistare in cambio bond europei e incassandone così le cedole. Per noi ci sarebbero due principali implicazioni: il cambio euro-dollaro salirebbe e i rendimenti sovrani scenderebbero. Nel complesso non è detto che ci andrebbe male, anzi ci potrebbe andare persino bene per effetto dell’abbassamento dell’inflazione e del costo di emissione del debito. Tuttavia, le cose non sarebbero così scontate. Vendere l’oro potrebbe essere percepita come una mossa disperata dai mercati, i quali reagirebbero vendendo Treasuries e facendo salire i rendimenti americani e nel resto del mondo.

QE mascherato

Come minimo, alcuni grossi investitori intravedrebbero nella rivalutazione dell’oro un escamotage per sfuggire alla necessità di tagliare il deficit federale. La sfiducia che ciò provocherebbe, finirebbe per impattare negativamente sui bond sovrani di tutto il mondo. Infine, se l’America vendesse anche solo parte del metallo delle riserve, il prezzo dell’asset sprofonderebbe. Viceversa, se la rivalutazione non fosse seguita dalla vendita, verosimilmente il prezzo s’impennerebbe.

La monetizzazione a cui si riferisce Bessent comprenderebbe tutta una serie di asset reali e finanziari, che spaziano dalle quote del governo in agenzie come Freddie Mac e Fannie Mae ai terreni pubblici. Non proprio una goccia nel mare, ma non risolverebbero comunque il problema dell’alto indebitamento americano. Alla rivalutazione dell’oro in molti non credono, anche se a Wall Street l’allarme c’è. Non perché non sembri corretto adeguare i valori a bilancio alle quotazioni di mercato più recenti, quanto per il segnale che offrirebbe al mondo il governo americano. Nei fatti, parliamo di un Quantitative Easing mascherato, di creazione dal nulla di circa 700 miliardi da mettere a disposizione del Tesoro.

Rivalutazione dell’oro problematica

C’è il rischio, insomma, che la politica monetaria finisca per essere asservita definitivamente alla politica fiscale. Nel lungo periodo, poi, non sembra molto saggio privarsi di un safe asset per antonomasia. E’ vero che gli Stati Uniti sono emittenti della valuta di riserva globale, ma tra alcuni decenni sarà così? Mentre le banche centrali di Cina, Russia e Turchia, solo per citarne alcune, ammassano lingotti tra le riserve, la superpotenza andrebbe in tutt’altra direzione se vendesse, nei fatti slegandosi definitivamente dall’unico mezzo di pagamento riconosciuto nella storia in ogni luogo. La rivalutazione dell’oro andrà eventualmente maneggiata con cura per non indisporre i mercati.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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